La prima pietra entro quest’anno, la prima partita della Roma nello stadio di Tor di Valle nel 2020. James Pallotta, uno degli uomini più ricchi di Boston, vede rosa dopo tre anni d’incertezze e di frenetiche trattative al cardiopalma. Il presidente americano dell’Associazione Sportiva Roma è ottimista: «Potete scommettere che già nel 2020 giocheremo nel nuovo impianto. Vedrete che grazie allo stadio la Roma avrà molti più soldi per la squadra». Pallotta e il costruttore Luca Parnasi venerdì 24 febbraio hanno esultato dopo il travagliato accordo trovato alla fine con Virginia Raggi, quando tutto sembrava perduto.
In zona cesarini è arrivato il disco verde per modificare il progetto approvato dal precedente sindaco Ignazio Marino, seccamente bocciato dal M5S. La sindaca grillina della capitale la sera del 24 febbraio, appena si è sbloccato il negoziato, ha comunicato la lieta novella a Pallotta: «Devo dire che ci piace molto il progetto». Un video diffuso dal M5S ha mostrato la prima cittadina che parla soddisfatta in inglese al telefonino dalla Sala delle Bandiere del Campidoglio, attorniata dagli assessori della giunta e dai dirigenti della Roma. La Raggi è entusiasta: ama il progetto dello stadio (“we love it”), e «ora dobbiamo aggiustare solo qualcosina e poi possiamo lavorare insieme». Successivamente ha annunciato ai giornalisti la sofferta intesa con un volto teso e sorridente: «Tre torri eliminate e cubature dimezzate. A Tor di Valle nascerà uno stadio moderno, ecocompatibile, all’avanguardia dal punto di vista delle tecnologie, ma soprattutto nell’interesse dei cittadini».
La sindaca della città eterna, colpita da un avviso di garanzia e con una giunta squassata da guai giudiziari e da dimissioni a catena, tira un sospiro di sollievo. La costruzione dell’impianto a Tor di Valle ha diviso e fortemente divide i cinquestelle romani. L’accordo permette alla Raggi di replicare alle accuse di immobilismo, rasserena molto il clima politico arrivato all’incandescenza e allenta la “morsa” nella quale è stretta la prima cittadina della capitale. Sul piatto c’è un investimento complessivo di circa 1,7 miliardi di euro centrato su un impianto di 55.000-60.000 spettatori. Sono soddisfatti Pallotta e Parnasi, è contenta la sindaca di Roma, sono entusiasti i tifosi romanisti che per mesi, a ondate costanti, sono andati a manifestare sul Campidoglio e nelle vie della città per chiedere lo stadio.
Il sì all’impianto di calcio in una versione rivista è riuscito, però, a contenere solo in parte la frana di consensi di Virginia Raggi. Secondo un sondaggio Izi, realizzato ai primi di marzo e pubblicato da ‘Repubblica’, il 67,2% dei romani boccia la sindaca dell’Urbe mentre appena il 22% la promuove. Non solo: il 39,4% degli elettori grillini non tornerebbe a votare per lei, mentre il 52% confermerebbe il voto di quasi 9 mesi fa in suo favore.
Comunque la partita sullo stadio non è ancora chiusa. Una parte dei pentastellati romani continua a dire no “all’iniziativa speculativa, alla colata di cemento”. All’orizzonte si profila un nuovo scontro nella giunta e nel consiglio comunale tra i cinquestelle favorevoli e quelli contrari. È sul chi vive anche via della Pisana. L’assessore alla Mobilità della regione Lazio Michele Civita ha anticipato una possibile burrasca: l’accordo è una “buona cosa”, ma se il progetto cambierà, «bisognerà richiedere un nuovo pronunciamento da parte del consiglio comunale di Roma sul pubblico interesse». Si va verso una modifica della delibera con la quale Marino diede il via libera all’impianto attraverso la “rideterminazione” del pubblico interesse.
Ricompare il nodo del “pubblico interesse”, il rischio del naufragio dello stadio di Tor di Valle, immaginato dove una volta c’era l’ippodromo, ora in rovina, dedicato al trotto. Il M5S ha 29 consiglieri comunali, una larghissima maggioranza, ben oltre i 25 voti necessari per approvare le delibere. Tuttavia se il dissenso interno dovesse aumentare, la maggioranza di 25 voti potrebbe diventare a rischio.
Quando l’incertezza era totale sulla sorte dello stadio, Beppe Grillo e Davide Casaleggio sono scesi dal Nord nella città eterna il 20 febbraio per dare una mano alla Raggi. Hanno parlato con la sindaca, con i consiglieri comunali e con i parlamentari del M5S per trovare una soluzione. Grillo prima ha marcato l’incertezza assoluta sullo stadio («Ancora non so se verrà fatto»), annunciando una consultazione non meglio precisata tra i cittadini: «Prima sentiremo la popolazione e con loro potremo costruire una cosa straordinaria». Successivamente ha detto sì a patto di non costruirlo a Tor di Valle, un’area soggetta alle piene del Tevere: «È meglio farlo in una zona non a rischio esondazione». Era di fatto un no al piano di Pallotta e di Parnasi per lo stadio a Tor di Valle, poi è apparso l’accordo.
Il leader dei cinquestelle, pur criticando gli errori, ha sempre difeso la sindaca. Ha puntellato la Raggi facendo rientrare le proteste dell’ala radicale del Movimento e le critiche tipo quelle della deputata Roberta Lombardi. Alla fine anche la ex capogruppo del M5S a Montecitorio si è congratulata con la sindaca: «Stracciato il progetto iniziale. Dimezzate le cubature extra-stadio. Nessun grattacielo. Questo è uno stadio fatto bene, brava Virginia Raggi».
Così non la pensa Marino. L’ex sindaco Pd di Roma sfiduciato dal suo partito è infuriato: «La Raggi ha cancellato tutte le opere di interesse pubblico da noi ottenute, più di 250 milioni per i trasporti e un parco grande come Villa Borghese. Ha fatto un favore ai costruttori».
Stadio sì, no, dove, come. Grillo aveva detto: «Prima sentiremo la popolazione». L’idea è buona, ma né il garante del M5S né altri ne parlano più. La questione è scomparsa. Se dovessero perdurare i forti contrasti è meglio consultare i romani sull’importante tema dello stadio a Tor di Valle, un tassello qualificante del nuovo modello di sviluppo urbanistico della capitale. Anzi, chiamiamo le cose con il loro nome: facciamo un referendum.