C’è chi sa rispondere a questa semplice domanda: cos’ha fatto di male, la città di Roma, per “meritarsi” un sindaco come la signora Virginia Raggi? D’accordo: una maggioranza di romani ha la colpa, non lieve, di averla votata. Conta poco che lo abbiano fatto non “per”, ma “contro”, e in spregio, a quella congrega capitolina che, sarà ricordata per l’insipienza, l’arroganza e la protervia con cui aveva (s)governato la città. D’accordo: prima della signora Raggi si sono succeduti, in Campidoglio, Ignazio Marino e Gianni Alemanno; e si è detto tutto.
Se Goffredo Bettini, dominus del Partito Democratico fin da quando si chiamava Partito Comunista, giunge a dire che i suoi compagni hanno costituito veri e propri comitati d’affari, vuol dire che si era superato ogni limite possibile e tollerabile, si capisce quindi che, coscientemente, non siano andati a votare, lasciando strada libera alla signora Raggi; e che altri l’abbiano invece votata: tanto, peggio di così le cose non potevano finire.
Invece no. La signora Raggi riesce ogni giorno a superare ogni pessimistica previsione e immaginazione. Lasciamo pure perdere le cronache dei quotidiani romani, sospettabili di essere portatrici di inconfessabili interessi, diversi dalla libera e onesta informazione. Il fatto è che della signora Raggi si occupano giornali che non hanno ragione di essere aprioristicamente polemici, come il “New York Times” o il cinese “Quotidiano del Popolo”. Definire imbarazzante quello che scrivono e commentano è un eufemismo. La signora Raggi, insomma, si industria per dimostrare che si può contemporaneamente essere il peggio del “nuovo” e il peggio del “vecchio”. E ci riesce benissimo.
Ma anche chi, fin dal primo momento, aveva intuito che la signora Raggi è la persona sbagliata, nel posto sbagliato e che avrebbe fatto cose sbagliate, certamente non poteva immaginare che sarebbe stata capace di offendere la città e i suoi abitanti come è riuscita a fare.
La signora Raggi lo sa che cosa è accaduto tra il 23 e il 24 marzo del 1944? Sembrerebbe di no. Sembrerebbe che non si renda conto della gravità di non aver preso parte alle cerimonie che ricordano l’eccidio delle Fosse Ardeatine: dove i nazisti trucidarono 335 civili e militari italiani, in odiosa rappresaglia all’attentato dei GAP romani a via Rasella; un qualcosa che si può definire solo in un modo: una vergogna.
Chissà: forse bisogna spiegarglielo, alla signora Raggi, che per la sua efferatezza, per l’alto numero di vittime, per le circostanze che portarono al suo compimento, la strage alle Ardeatine costituisce il simbolo della durezza dell’occupazione tedesca a Roma. Chissà: forse bisogna ricordarlo, alla signora Raggi, cosa hanno fatto, in quelle ore, Herbert Kappler, Erich Priebke e i loro compari. E se non lo ha chiaro (a questo punto, non ci si sente di escludere nulla), possibile che nel suo entourage non uno glielo abbia ricordato, non uno l’abbia avvertita che – per quanto logorata e stanca per i sette mesi di lavoro in Campidoglio – era doveroso tornare in città, e interrompere le riposanti sciate in Val di Siusi?
È la prima volta nella storia della Repubblica, che un sindaco di Roma è assente alla celebrazione che ricorda i caduti delle Fosse Ardeatine. Complimenti, signora Raggi.
E complimenti per l’improntitudine di un twitter con il quale si cerca di mettere una “toppa” a questa clamorosa gaffe: «#FosseArdeatine primo luogo visitato con fascia tricolore. Sciacallaggio contro di me non si ferma neppure di fronte al valore della Memoria». Signora, per piacere, non insista: un po’ di pudore, una briciola di vergogna; chieda scusa, e faccia silenzio.