Pubblici o privati, italiani o stranieri, gli azionisti Alitalia quando commettono grossi errori di gestione e finiscono con l’acqua alla gola chiedono sempre soldi allo Stato. Così fu ai tempi dell’Iri, così è stato dopo la “privatizzazione” voluta dieci anni fa da Silvio Berlusconi. Così sta per accadere adesso, anche se a controllare la compagnia aerea, è un ricchissimo emiro arabo.
La trattativa di Etihad con il governo e i sindacati mira soprattutto a questo. Ottenere il “Naspi”, che poi è un’indennità di disoccupazione a carico dell’Inps, per incentivare l’uscita di 500 dipendenti. Avere il via libera per una sessantina di prepensionamenti, sempre a carico della collettività, e così via.
Insomma, quando si tratta di Alitalia, si ricorre sempre ai contribuenti italiani. Che, non dimentichiamolo, stanno ancora pagando il conto dei “patrioti” berlusconiani e di quegli indimenticabili sei anni di gestione privata della “cordata tricolore”. Spicciolo più, spicciolo meno, siamo di fronte a un conto di sei miliardi e mezzo di euro.
Una cifra che comprende i costi del fallimento della vecchia compagnia pubblica di bandiera “regalata” a Colaninno e soci dopo un’accurata pulizia dei debiti, con 7.000 dipendenti messi alla porta da Cai e parcheggiati per sette anni nel limbo d’una cassa integrazione finanziata con il Fondo speciale per il trasporto aereo. Un balzello introdotto nel 2008 e alimentato da due voci: un prelievo dello 0,5 dagli stipendi degli impiegati del settore. E una tassa di 3 euro sul biglietto di ogni passeggero che prende un aereo in Italia.
Ma questo strumento, pensato per sostenere i dipendenti dell’ex Alitalia, rischiava di incorrere in una sanzione della Commissione Europea e così venne esteso anche ai dipendenti di compagnie straniere operanti in Italia: Air France e British Airways, la russa Aeroflot e la Libyan Airlines, la compagnia di Stato dello Yemen e quella della Siria.
Ci sono poi le spese dirette e indirette prodotte da leggi, leggine e provvedimenti ad hoc. Oltre ai piccoli e grandi regali assicurati dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi, ma anche da quelli guidati da Monti, Letta e Renzi. Soltanto Poste Italiane, società controllata al cento per cento dallo Stato, a fine 2013, per evitare il fallimento di Cai prima dell’arrivo di Etihad, ha “investito” nella compagnia aerea 75 milioni di euro. Cifra raddoppiata nel 2015, grazie a un nuovo aumento di capitale.
F.Sa.