La drammatica crisi abbattutasi sull’Alitalia, che oggi è controllata da Etihad, si spiega anche e soprattutto con la recente decisione dell’emiro di Abu Dhabi di ridimensionare il business aereo. La conseguenza è l’abbandono di quella politica di espansione che negli ultimi anni ha portato Etihad all’acquisto d’importanti quote azionarie in una miriade di compagnie aeree.
Lo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan, sessantanovenne presidente degli Emirati Arabi Uniti, è uno degli uomini più ricchi del mondo ed è seduto su un mare costituito da 97 miliardi di barili di petrolio, ma è anche un abile uomo d’affari. Da tempo, da quando era emiro di Abu Dhabi, ha cercato investimenti alternativi al petrolio. Tra questi, il trasporto aereo.
E così nel 2006 si affida a un rude manager australiano, James Hogan. Nominato presidente e amministratore delegato di Etihad, Hogan fa le cose in grande, realizzando in pochi anni un’espansione senza precedenti. Nel 2008 firma uno dei più grandi ordini di aerei della storia: 205 giganti dei cieli per un valore di una quarantina di miliardi di dollari. L’espansione della compagnia araba sembra ormai irresistibile: Air Berlin, Air Lingus, Virgin Australia, Darwin Airline, Jet Airways, Air Seychelles. Nel 2015, dopo una trattativa durissima, arriva il 49 per cento di Alitalia.
Ma nel 2015 il vento sta già cambiando direzione. I metodi sbrigativi di Hogan non bastano più a risolvere i problemi d’una complessa rete aziendale fatta di storie, tradizioni sindacali e legislazioni diverse. Di conseguenza, gli utili non possono essere più quelli realizzati a partire dal 2011.
Poi arriva la crisi di Air Berlin, la seconda compagnia aerea tedesca. Nel 2016 i conti vanno sempre peggio e così Etihad (forte del suo 29 per cento di quota azionaria) annuncia un piano lacrime e sangue con pesanti tagli alla flotta e un migliaio licenziamenti. Ma Air Berlin è una società quotata alla Borsa di Francoforte, dove naturalmente registra subito un crollo.
Adesso è la volta di Alitalia. Lo spettacolo che va in scena a Roma sembra la replica di quello berlinese. Stesso copione: Etihad non si fa carico dell’aumento di capitale necessario per affrontare la crisi. Segnale chiarissimo della svolta, del ridimensionamento del business aereo deciso dallo sceicco. Naturalmente il cambiamento di rotta ha già portato anche al taglio della testa di Hogan, l’artefice dell’espansione. Da quest’estate non sarà più presidente e amministratore delegato di Etihad. Secondo il reticente comunicato sottoscritto dall’emiro, l’uscita del manager australiano, destinato a un incarico finanziario, “fa parte di un processo di transizione”. Anche l’amministratore delegato di Alitalia Cramer Ball, australiano come Hogan e fedelissimo dell’ex boss, viene dato in uscita. Per il momento dovrà cedere parte delle sue deleghe a Luigi Gubitosi, il nuovo presidente che sostituisce Luca di Montezemolo.
Guarda caso, il dimissionario Montezemolo è l’uomo che a settembre 2014 fece incontrare il neopremier Matteo Renzi con Khalifa bin Zayed Al Nahyan per chiudere il passaggio di Alitalia a Etihad. Il subentrante Gubitosi, uomo di finanza, è stato invece voluto, quasi imposto, dalle banche creditrici.