Chi conosce la villa di Livia e Tiberio a Tuscolo? O le case dei legionari della Legio II Parthica, con le loro famiglie nei dintorni dei castra di Ariccia? Più o meno tutti abbiamo sentito parlare della Villa di Adriano a Tivoli o, almeno i più addentro alle scoperte archeologiche, della villa di Messalla Corvino a Boville, antico nome delle Frattocchie. Eppure spingendosi più su lungo l’Appia o salendo ai Castelli romani c’è un mondo infinito di scoperte archeologiche interessantissime e magnifiche, indispensabili da conoscere e da scoprire. Dall’età del ferro a quella del bronzo, da quella neo-eneolitica a quello tardo-antica, dalle origini di Roma al suo splendore imperiale, proseguendo lungo i secoli per arrivare alla fulgida stagione delle ville e dei giardini rinascimentali, c’è un entroterra laziale che si va organizzando e che aspetta solo di essere scoperto e visitato.
Non solo una vetrina per turisti, ma soprattutto una terra da scoprire e da riscoprire per i suoi abitanti: «Si assiste a una preoccupante tendenza a legare il patrimonio archeologico al turismo, piuttosto che alla crescita culturale della popolazione, ridotto cioè a una Disneyland», ha detto Sandra Gatti della Soprintendenza archeologica dell’area metropolitana di Roma, della provincia di Viterbo e dell’Etruria meridionale nel corso dell’intervento che ha inviato al workshop organizzato giorni fa dal Museo civico archeologico di Artena. Già perché c’è una capillare rete di musei civici archeologici interessantissimi appena ci si azzarda a mettere il naso fuori di Roma, appena fuori dall’anello del Raccordo anulare, al cui interno ci racchiudiamo spesso come se non dovesse esistere null’altro di interessante, fuori.
Ma di questi musei civici, organizzati benissimo, ognuno con il suo scrigno di gioielli da lasciare a bocca aperta, si vanno accorgendo in molti. Proprio nelle scorse settimane due importanti riviste li hanno omaggiati: la prima è Forma Urbis, ben nota agli appassionati di archeologia e di cose romane, che ha pubblicato un numero monografico dedicato ai «percorsi archeologici nel Lazio, un viaggio tra i musei e il loro patrimonio diffuso»; la seconda è la ben più popolare Bell’Italia che ha dedicato ai Castelli romani un numero monografico, con approfondimenti su più di un museo civico. A sfogliarle vien davvero voglia di saltare in macchina e farsi un giro per questi musei civici.
Massimiliano Valenti, direttore del polo museale di Monte Porzio Catone, racconta che nel suo museo «gli accordi di deposito con il Ministero hanno concesso l’esposizione di vari reperti, tra i quali è bene segnalare il bellissimo emblema in opus vermiculatum del III secolo dopo Cristo, mosaico realizzato con tessere minutissime» o i reperti provenienti dal Barco Borghese, un complesso archeologico stupefacente e sorprendente sia per estensione spaziale che temporale e che merita una visita a sé e che integra il percorso del museo. Sarà poi una gradita sorpresa scoprire che il polo museale è integrato anche dai vari siti, sempre a Monte Porzio, del Museo Diffuso del vino, gestiti con sapiente maestria da Simona Soprano, alla riscoperta non solo di sapori eccellenti ma anche di come la bevanda si integra nella storia e nella tradizione del luogo.
Se ci spostiamo ad Albano scopriamo che la stessa sede del locale museo
civico «occupa alcuni ambienti delle sostruzioni delle Terme di Cellomaio, fatte costruire per i militari della Legio II Parthica dall’imperatore Caracalla. La legione fu creata dall’imperatore Settimio Severo tra il 196 e il 197 Dopo Cristo per combattere i Parti e poi divenne, per la sua fedeltà e il suo valore militare, uno dei corpi militari a servizio diretto dell’imperatore, di stanza a Roma o nelle vicinanze. Per essa furono realizzati i castra Albana», come racconta Daniela De Angelis, direttore scientifico del museo. Sarà importante notare come l’insediamento dei legionari e delle loro circa 5.000 famiglie stravolse anche l’urbanizzazione della zona: furono progressivamente abbandonate le ricche ville prossime ai castra e la zona acquisì una connotazione più decisamente popolare. Con conseguente crollo dei prezzi. O tempora, o mores!