Etihad grande delusione. Trenta per cento di riduzione dei costi, otto per cento di taglio medio delle retribuzioni, 1700 esuberi. Il piano per l’ennesimo salvataggio di Alitalia è tutto nella brutalità di questi pochi numeri. Approvato all’alba del 14 aprile, diventerà operativo solo se passerà al referendum indetto tra i lavoratori. L’accordo tra azienda e sindacati, subordinato al voto favorevole nel referendum, è arrivato dopo una lunghissima ed estenuante trattativa.
Se vincessero i “no”, le banche creditrici non sottoscriverebbero la ricapitalizzazione dei due miliardi di denaro fresco, necessari per tornare a volare in condizioni di normalità. A quel punto la società finirebbe in amministrazione controllata. Con la nomina di un commissario straordinario incaricato della vendita.
Sono passati appena due anni e mezzo dall’arrivo di Etihad, la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti, che ne ha acquistato il 49 per cento con un investimento di 700 milioni di euro e la promessa di un ritorno all’utile di bilancio entro il 2017. Cioè alla fine di quest’anno. Non è stato così. Anzi. Alitalia ha continuato a perdere più o meno come ai tempi di Cai. Adesso si ritrova senza soldi in cassa e con i fornitori alla porta, esattamente come tre anni fa, al momento in cui l’Armata Brancaleone dei patrioti berlusconiani gettò la spugna.
C’è un dato che spiega meglio di qualsiasi analisi gli errori di Etihad: su ogni euro che entra in cassa, Alitalia perde dodici centesimi. Con buona pace del trionfale annuncio fatto a gennaio del 2015 dal presidente Luca di Montezemolo: «Andremo in utile nel 2017 e non saremo più dipendenti da banche e altri sostegni». Un anno e mezzo dopo fu proprio l’ex numero uno della Ferrari a confessare candidamente che la sua compagnia perdeva più o meno un milione al giorno.
A quel punto era già evidente che James Hogan, il boss di Etihad, e i suoi manager erano finiti fuori rotta. Avevano promesso di ridurre i voli a corto e medio raggio, perché in quella fetta di mercato nessuna compagnia di bandiera è in grado di competere con le low cost. Avevano deciso di puntare tutto sui voli intercontinentali che invece promettevano di rendere e di rilanciare i ricavi.
Bene, gli aerei impegnati sul lungo raggio sono 25 su 115. In due anni la quota dei voli interni di Alitalia è scesa di soli quattro punti, passando dal 58 al 54 per cento. Una percentuale lontana anni luce da quelle di concorrenti come Air France-Klm e Lufthansa, che hanno ridotto la quota dei voli interni al 17/18 per cento. Consapevoli del fatto che competere sulle rotte brevi con Ryanair o Easy Jet significa combattere una battaglia persa.