E adesso? Che fine farà l’Alitalia? La valanga di “no” dei dipendenti che hanno bocciato l’accordo siglato il 14 aprile per l’ennesimo “salvataggio” dell’azienda suona prima di tutto come una bocciatura di Etihad. Un atto di sfiducia nei confronti di quei manager che gli arabi hanno messo nei posti di comando nel 2014, quando hanno preso il controllo della nostra ex compagnia di bandiera. Ma dietro il voto del referendum si intravede anche la sfiducia nel piano industriale che – dopo i tagli di personale, riposi e stipendi- avrebbe dovuto salvare Alitalia.
In effetti, a guardarlo questo nuovo piano, sostenuto da una ricapitalizzazione di due miliardi di euro, non sembrava una grande cosa. Come aveva ammesso tra le righe anche il nuovo presidente Gubitosi, che aveva parlato di “piano troppo timido”. Se il problema dei problemi sono i troppi voli a breve e medio raggio e le poche destinazioni internazionali, quelle che rendono veramente, la risposta non poteva essere costituita dai due aerei in più che sarebbero arrivati da qui al 2018.
Stando così le cose, era evidente che Alitalia avrebbe continuato a perdere qualche centinaio di migliaia di euro al giorno e tra un paio d’anni avrebbe avuto bisogno del quarto “salvataggio” della serie. A questo punto, molti dipendenti davanti all’urna devono aver pensato: «Meglio lo Stato dell’emiro di Abu Dhabi». Di conseguenza hanno messo il segno sul “no” e hanno bocciato l’accordo. Chiaro che in molti deve essere scattata anche la speranza di una nazionalizzazione. Non a caso, il premier Gentiloni e tutti i ministri coinvolti nella vicenda, a urne ancora aperte, si sono affrettati a ribadire che il “no” all’accordo siglato il 14 aprile non avrebbe portato a un “piano B”, e tantomeno al ritorno sotto le ali protettive dello Stato, ma solo all’arrivo di un commissario straordinario incaricato della vendita.
Al momento, l’unico potenziale acquirente è la Lufthansa. In passato ha più volte mostrato interessamento all’Alitalia e lo scorso autunno ha già rilevato da Etihad un terzo di Air Berlin, che era sull’orlo del fallimento. Ma il colosso tedesco potrebbe anche prendere tempo per cercare di accaparrarsi la nostra ex compagnia di bandiera a prezzo di fallimento. Comunque, secondo gli addetti ai lavori, il passaggio a Lufthansa trasformerebbe Alitalia in una compagnia regionale, con un taglio di almeno quattromila dipendenti. Numero doppio, se non triplo, rispetto a quello fissato dal “piano di salvataggio” bocciato con la valanga di “no” del referendum.