I bassi prezzi della materia prima che non coprono i costi di produzione sono una vera tragedia per l’agricoltura italiana e occidentale in genere. Oltre alle serie difficoltà economiche degli operatori, la contrazione fino all’abbandono delle coltivazioni si ripercuote gravemente sulla sostenibilità del territorio, sia dal punto di vista idrogeologico-conservativo che paesaggistico-ambientale e quindi turistico, con danni potenziali diretti ed indiretti inestimabili e spesso irreversibili. Tutti, e in primis i decisori politici, dovremmo fare qualcosa di concreto e urgente perché ciò non avvenga o perlomeno sia mitigato.
Ora, però, quando si è in difficoltà spesso subentrano panico e rabbia e qualche volta ci si (sbi)lancia in accuse generiche, prive di fondamento e mal indirizzate. L’attuale clima sociale aggressivo di post-verità, che ormai sconfina nella diffamazione più becera, non basata su fatti reali e prove scientifiche, ma semplicistica autoconferma di triti luoghi comuni orecchiabili e preconcetti di comodo, non fa che aggravare la situazione e rinviare la pur difficile, ma improcrastinabile ricerca di soluzioni e linee operative.
«I fatti sono un bene. Possono essere scomodi o sconvenienti, ma solo adottando soluzioni razionali e basate sui fatti possiamo sperare di prosperare come Società» (è il percorso positivista che ha aumentato esponenzialmente benessere, durata e qualità della vita dall’Illuminismo laico in poi).
Il ragionamento tanto di moda della post-verità «spesso parte da idee precostituite e fa il percorso inverso, alla ricerca dei “fatti” che CONFERMINO QUELLO CHE GIA’ PENSIAMO DI SAPERE. E quando ci sono dei fatti che contraddicono le nostre convinzioni, troviamo abilmente il modo di ignorarli» (Dan Jones, New Scientist – Internazionale).
E I FATTI della Pasta e del grano duro, frutto e sintesi di conoscenza condivisa e/o di prove scientifiche ripetute e validate, possono essere forse così riassunti, almeno in parte:
– La Pasta è un alimento di grande ed equilibrata valenza nutrizionale e salutistica, passaporto del made in Italy e perno della dieta mediterranea. Priva di grassi saturi, fonte di carboidrati a basso indice glicemico; di proteine, soprattutto glutine, a basso costo e altamente digeribili a parte una ridottissima fascia di popolazione (celiachia, max 1%) che nessuna fumosa e prezzolata campagna diffamatoria potrà estendere per fini commerciali al resto della popolazione, blandendola subdolamente come sussurrato rimedio di “malattie” inesistenti che il perfido establishment gombloddista nasconde.
– Il grano duro (evoluzione naturale già di alcuni millenni dei farri che hanno caratterizzato la domesticazione delle specie selvatiche, sin dai tempi della fine della glaciazione di Wurm nella cd. mezzaluna Fertile) ne è ingrediente unico. Coltura principe e identitaria dei migliori territori della Penisola dove occupa circa 1 milione e 300 000 ha (ma ne ha persi almeno 400 000 negli ultimi anni, alla faccia dell’”incolmabile” deficit di produzione nazionale) e assolutamente priva di alternative colturali negli ambienti caldo-aridi del Sud-Isole.
– La disponibilità di varietà con elevate caratteristiche qualitative, la vocazionalità pedoclimatica degli ambienti di coltivazione, le conoscenze agrotecniche permetterebbero già di avere ottima materia prima nazionale (e addirittura locale) per una Pasta italiana di riconosciuta eccellenza internazionale. Ma la produzione primaria va organizzata e raggruppata con un sistematico stoccaggio differenziato per provenienza e tipologia. La trasformazione ha bisogno di grandi partite di qualità omogenee che ancora si stenta a trovare in Italia, ma che invece è la norma all’estero, in particolare nell’organizzatissimo Canada.
– Espressione concreta di questa esigenza possono ritenersi i contratti di filiera, finalizzati all’ottenimento di grosse partite di qualità elevata ed omogenea, grazie all’impiego di specifiche varietà in un ambito di agrotecniche regolamentate da disciplinari di produzione. Tale strumento contrattuale, non a caso di grande attualità e in notevole crescita tra gli operatori, ha dimostrato di garantire la valorizzazione delle produzioni nazionali e locali, mirando ad ottenere superiori livelli qualitativi e prodotti trasformati ben caratterizzati, attenuando nel contempo i rischi della volatilità dei prezzi.
– La Pasta di grano 100% italiano ESISTE GIA’, addirittura oltre 40 marchi, molti di larga diffusione commerciale (Voiello con monovarietale Aureo, Fior Fiore Coop di Gragnano, Granoro dedicato ecc). Prezzi leggermente più alti, ma di quantità unitaria a piatto a dir poco ridicola (si passa da 8-10 a 12-15 centesimi). Molti dei cori di geremiadi indignate potrebbero già trasformarsi in concrete scelte virtuose e confermare finalmente quelle che per ora sono solo teoriche e vanagloriose propensioni sondaggistiche a “spendere qualcosa di più per il cibo di qualità” (e casomai risparmiare veramente laddove è più facile e consistente farlo – vedi abuso dell’automobile, della telefonia e della climatizzazione, scialo senza freni ancestrali a differenza di quel micragnoso risparmio sul cibo).
– Generalmente il grano duro nazionale è coltura estensiva a bassi input chimici e privo o a bassa presenza di contaminanti, micotossina DON in particolare, ma ciò non toglie che stagioni sfavorevoli possano provocarne aumenti di livello, soprattutto nelle regioni Centrali, ma anche al Sud. La presenza eventuale di valori comunque lontani dalle rigorose soglie di sicurezza, frutto di lunghi anni di studio internazionali, non può dare la stura a supposizioni malevole e complottiste di facile presa di chi è, appunto, goloso di post-verità.
Falso e mistificatorio correlare presenza di DON e provenienza estera.
– Il grano estero è infatti anch’esso generalmente sano e non potrebbe essere altrimenti, vista la severa legislazione UE e quindi italiana che ne regola anche l’import. Bollarlo di preconcetta infamia con fantasiosi livelli di micotossine, gliphosate, cadmio e tutto un campionario di ancestrali paure su pesticidi e contaminanti d’ogni tipo è operazione vilmente diffamatoria senza alcun riscontro tecnico-scientifico, anche se facile fonte di ovazione nelle CurveSud in attesa messianica di mistica e mitica post-verità.
– Con questa continua, generica e fumosa demonizzazione si finirà per diffondere anche all’estero la convinzione che in fondo in fondo quelle pregiate paste italiane nascondono in effetti qualcosa di poco chiaro (ah ‘st’Italiani…) e ne crolleranno i consumi e le esportazioni, che già si sono arrestate dopo anni di utile crescita economica per tutto il sistema Paese. Se esportiamo 1 milione e mezzo di tonn di pasta, esportiamo anche il grano di cui ne è fatta (ancora il 70% è italiano per fortuna) e tutta l’esperienza e la capacità tecnologica dei molini e dei pastai, ma anche la bellezza primordiale del nostro territorio che ancora resiste grazie all’agricoltura. Privarsi di questi enormi mercati esteri farà certamente male agli odiati parun dalle braghe bianche, ma subito dopo piangerà l’agricoltura e l’ambiente.
– La libertà degli scambi di popoli e di merci è una delle conquiste civili degli ultimi anni che ha aumentato benessere, conoscenza e quindi pace e prosperità. Ritornare ai dazi medievali, altolà chivalà… un fiorino! non giova alla comunità internazionale, tanto meno all’agro-alimentare italiano che è crescente fonte primaria ed apprezzata di esportazione. È un po’ ingenuo poi, pensare che si possa solo esportare senza importare….soprattutto se la cattiva fama dei prodotti nazionali ce la costruiamo da soli.
– Ben venga infine una maggior conoscenza e trasparenza legata all’imminente etichettatura, ma rimanendo su un piano di razionalità e opportunità di libera decisione, di consapevolezza e conoscenza di ciò che c’è veramente dietro ai processi produttivi, non un “SignoraMia, una vittoria contro gli imbrogli”, chissà quali.
Diffamare e screditare è operazione sempre spiacevole, ma lo è ancora di più quando ha effetti controproducenti, opposti agli obiettivi cercati e quindi non giova a nessuno. O forse sì, a chi cerca visibilità come trampolino di lancio per consenso e potere. Tecnica antica, ma oggi ancor più che mai attuale e ormai tragicamente prossima al Governo del Paese. Un vero PentaDramma.