Basta con gli operai, il ceto medio e Carlo Marx. «Addio a operai e borghesi». Oppure: «Scompaiono la classe operaia e la piccola borghesia». E ancora: «Addio alle classi sociali». La novità viene annunciata dall’Istat; la stampa e i telegiornali ne prendono atto.
L’Istituto nazionale di statistica ridisegna “il volto” della nuova Italia: sono abolite le vecchi classi sociali e si introducono i gruppi sociali. L’Istat ne conteggia nove nel rapporto annuale sul 2016: 1) famiglie a basso reddito con stranieri (4.700.000 persone), 2) famiglie a basso reddito di soli italiani (8.280.000), 3) anziane sole e giovani disoccupati (5.420.000), 4) famiglie di impiegati (12.200.000), 5) giovani “blue collar” (i “colletti blu” sono 6.190.000), 6) famiglie tradizionali della provincia (3.640.000), 7) famiglie degli operai in pensione (10.500.000), 8) pensioni d’argento (5.250.000), 9) classe dirigente (4.570.000).
Il lettore scusi il cronista per il lungo e noioso elenco. L’Istat ha frammentato e moltiplicato le categorie classiche per cercare di capire la nuova realtà sociale ed economica dell’Italia. Parla di famiglie di vario genere, di pensionati, di impiegati, di classe dirigente, di giovani e vecchi, d’immigrati. Parla poco o per niente di classe operaia e di ceto medio. Una volta invece si parlava in maniera più semplice di operai, impiegati, piccola borghesia, ceto medio, imprenditori, classe dirigente. Le distinzioni sociali erano svolte secondo il criterio del reddito e dell’attività lavorativa, un’analisi di matrice marxista.
Ora è cambiato tutto, l’impostazione è sociologica. L’Istat entra nei dettagli. C’è la crisi economica e culturale: 7 giovani su 10 (ben 2.200.00) tra i 15 e i 29 anni non studiano né lavorano (è un primato europeo). C’è il problema del grande invecchiamento della popolazione: il 22% delle persone ha un’età superiore ai 65 anni (siamo i primi al mondo dopo il Giappone); i morti hanno superato le nascite di 134 mila unità (i bebè sono scesi a 474.000). C’è il problema della povertà crescente: il 6,5% della popolazione rinuncia perfino alle visite mediche per ragioni economiche; possiedono un reddito basso 8 milioni di famiglie e ben 22 milioni di persone. Crescono le differenze sociali: la classe dirigente ha un reddito superiore alla media del 70%, detiene il 12,2% del reddito totale, spende mensilmente il doppio dei redditi più bassi.
L’Istat parla poco o per niente di operai, piccola borghesia, ceto medio, ma le antiche categorie sociali si vendicano e riemergono nelle stesse, nuove classificazioni statistiche targate 2017. Sono operai e piccoli borghesi (giovani ed anziani, italiani ed immigrati) i disoccupati, i precari, i titolari di contratti a termine, i lavoratori “in nero”. Sono operai e piccoli borghesi, italiani ed immigrati, i nuovi proletari titolari di contratti di lavoro atipici. La Grande crisi economica internazionale cominciata nel 2008 ha fatto esplodere la disoccupazione, il precariato e la povertà. Il fenomeno è talmente consistente che i pensionati, anche quelli a basso reddito, vengono considerati dal nuovo senso comune dei privilegiati per il loro introito previdenziale garantito, anche se di entità minima. È talmente vero che l’Istat colloca le cosiddette “pensioni d’argento” tra i redditi maggiori. Le disuguaglianze sociali, poi, sono esplose come rileva la stessa Istat, colpendo soprattutto operai e ceto medio (giovani e vecchi).
L’economista americano Francis Fukuyama nel 1992 pubblicò un saggio sulla “Fine della storia”. Il libro fece epoca, indicando il nuovo corso felice degli eventi mondiali. Ma dopo il crollo del comunismo, non arrivò “la fine della storia”, non ci fu il trionfo della democrazia e della libertà. Nei paesi occidentali la globalizzazione e le tecnologie digitali hanno portato povertà e disoccupazione per milioni di lavoratori. In gran parte del mondo si sono affermati movimenti autoritari e razzisti, sono scoppiate guerre sanguinose, il terrorismo islamico ha causato migliaia di morti in tutti i continenti.
Il ceto medio e gli operai non sono stati azzerati, ma sono stati colpiti pesantemente dal terremoto della crisi e dalla rivoluzione delle innovazioni tecnologiche. Lavoratori giovani e vecchi negli ultimi anni hanno visto drasticamente peggiorare le loro condizioni di vita, sociali ed economiche. In tutto il mondo occidentale, prima l’Europa e poi gli Usa, hanno dovuto fare i conti con la protesta degli “indignados” (gli indignati), che in molti casi ha premiato sul piano elettorale i nuovi partiti populisti e nazionalisti. La sinistra stenta a rappresentare i lavoratori, la sua tradizionale base, la missione politica per la quale nacque alla fine del 1800. L’operaio, Cipputi, c’è sempre anche se ha mutato pelle per i cambiamenti produttivi; ma è sempre più solo, impoverito e con scarsi diritti.