Massimo D’Alema pensa alle elezioni comunali di giugno. Ma soprattutto riflette sulle prossime elezioni politiche, sia nel caso siano a cadenza regolare all’inizio del 2018 sia nell’ipotesi di un voto anticipato a settembre. L’ex presidente del Consiglio e già segretario del Pds-Ds si pone in netta contrapposizione con Matteo Renzi: «Stiamo lavorando per offrire agli elettori una proposta alternativa di sinistra».
D’Alema ha lasciato il Pd a febbraio e ha fondato il Movimento dei democratici e progressisti (in sigla Mdp) assieme a Bersani, Speranza, Enrico Rossi. In una intervista al ‘Corriere della Sera’ ha difeso la scelta della scissione del Pd, definendola “inevitabile e persino tardiva” perché «tutta l’ispirazione politica renziana è contraria ai valori della sinistra».
Alza le spalle verso i sondaggi elettorali che assegnano appena il 3% dei voti al Mdp: «Meglio prendere il 3% a favore di ciò che si ritiene giusto che il 20% a favore di ciò che si ritiene sbagliato. E comunque io credo che lo spazio a sinistra del Pd sia molto più grande».
Un ragionamento singolare per uno dei “cavalli di razza” del Pci-Pds-Ds-Pd, poi “rottamato” dal giovane Renzi, un progetto viziato da una seria difficoltà. D’Alema, sia dal governo sia dall’opposizione, ha sempre puntato a costruire una forza popolare e maggioritaria di centrosinistra, mentre adesso si trova a fare i conti con il rischio di un Mdp fortemente minoritario e marginale. Non solo. Lo spazio alla sinistra del Pd è sempre più stretto e più affollato di piccoli partiti alla ricerca di un rilancio e della stessa sopravvivenza: in particolare ci sono Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni (nata a febbraio e composta da ex Sel ed ex sinistra Pd come Stefano Fassina), Possibile di Pippo Civati (ex sinistra Pd e dissidenti del M5S) e il neonato Campo Progressista di Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano.
D’Alema, in nome della lotta alle disuguaglianze, ha proposto “una alleanza per il cambiamento” a Pisapia, a Sinistra Italiana e alle forze della società civile, critiche con Renzi e col suo obiettivo d’intesa con Silvio Berlusconi sulla nuova legge elettorale. L’alleanza di sinistra sarebbe soprattutto un accordo contro il segretario democratico, accusato di sbandare sempre di più verso il centro, verso il liberismo e verso Silvio Berlusconi: «Il ‘Renzusconi’ non mi pare molto popolare, anzi tirerà la volata a Grillo».
D’Alema cerca di uscire fuori dall’angolo nel quale è finito dopo la scissione. Con questo obiettivo assimila Renzi a Berlusconi, l’avversario storico del centrosinistra negli ultimi vent’anni. Ma deve affrontare tre difficili contraddizioni: 1) lui stesso quando era segretario del Pds cercò una intesa sulle riforme istituzionali con il presidente di Forza Italia (il famoso “patto della crostata” del 1997, siglato a casa di Gianni Letta e poi affondato dal Cavaliere); 2) gran parte degli elettori di sinistra dal 2013 vota per il M5S di Beppe Grillo su posizioni di totale opposizione antisistema; 3) è impossibile per la sinistra (o meglio le sinistre) sconfiggere il centrodestra e i cinquestelle senza un’alleanza con Renzi, rieletto segretario del Pd a larghissima maggioranza nelle elezioni primarie.
Il rapporto Renzi-D’Alema sembra irrecuperabile. Il segretario democratico cerca di evitare le polemiche. A febbraio, quando stava per scattare la scissione del Pd, replicò: «D’Alema nutre nei miei confronti un rancore personale che è evidente. Non voglio più polemiche. Adesso conduce solo battaglie personali». Girò il coltello nella ferita: «Di solito il suo obiettivo è distruggere il leader della sua parte quando non è lui il capo. Ci è riuscito con Prodi, Veltroni, Fassino». Ora il segretario del Pd sembra intenzionato a discutere con tutti di riforma elettorale: da Berlusconi a Grillo, con l’esclusione però di D’Alema. Non solo. Sembra pronto ad allearsi con Pisapia, ma non con D’Alema.