Uno, due, tre tentativi. La porta d’ingresso posteriore dell’autobus, quella riservata alla salita dei passeggeri, non si muove. Si susseguono un’altra decina di frenetici tentativi. La sorte del “31”, uno degli autobus che fa capolinea a piazzale Clodio, è in forte pericolo. La vettura rischia di non partire. Sono le 13 di giovedì 15 giugno, il sole picchia forte in un cielo blu, la giornata è caldissima. I passeggeri spazientiti e sudati rumoreggiano.
L’autista chiama in aiuto altri tre, quattro colleghi. È esasperato: «Caz..! Come faccio a lavorare così!». Il caposervizio dell’Atac lo esorta a riprovare. Ripete il tentativo. La porta, miracolosamente funziona. Per tre volte si chiude e si riapre. Il caposervizio fa la diagnosi: «Funziona male il motore della porta».
Si parte e i passeggeri tirano un sospiro di sollievo. Ma le sorprese, sempre negative, sono continue e in agguato. Alla prima fermata, quella vicina al tribunale, salgono una decina di persone, ma la porta di nuovo rifiuta di chiudersi. L’autista si rivolge ai passeggeri in coda: «La porta s’è bloccata! Dateglie ‘na spinta». Un volenteroso esegue. La soluzione empirica effettivamente funziona. La porta con “l’aiutino” si chiude. Alle successive due fermate, però, la porta resta sbarrata e le persone salgono e scendono dalle altre due entrate.
Mi faccio largo tra i passeggeri e mi avvicino alla cabina del conducente. Domando: «Non funziona? Succede spesso?». L’autista si gira, il volto è tirato: «Non ne vuol sapere. Potevo rifiutarmi di partire, ma non ho voluto lasciare a piedi tanta gente. Anzi, questa volta funziona l’aria condizionata. Certo in queste condizioni non si può lavorare!». Sollevo un tema delicato: «Tra i tanti problemi c’è quello della sicurezza delle persone…». Annuisce: «Certo. Per questo non aziono più la porta rotta e faccio salire e scendere le persone dalle due funzionanti! Capisco il disagio, ma è più sicuro per l’incolumità di tutti. Non vorrei che rimanesse aperta con la vettura in marcia».
Una signora anziana si avvicina e, con voce gentile, si rivolge all’autista: «Vuole una caramella alla menta? Sono buone!». La risposta è immediata: «No. Sono troppo arrabbiato. Comunque grazie».
Ma il bello, si fa per dire, deve ancora arrivare. Il “31” non concluderà mai il suo lungo percorso. Sarà un breve viaggio incubo. Passano appena due minuti, l’autobus supera il sottopasso su via Anastasio II e praticamente alla fermata si sente una insopportabile puzza di bruciato. Una voce grida: «L’autobus va a fuoco!». Mi avvicino al finestrino del lato anteriore sinistro e vedo sollevarsi una grande nube di fumo grigio.
L’autista ferma il “31” e spalanca le porte: «Scendete tutti! L’autobus è guasto!». Poi lascia la cabina di guida per fare un sopralluogo, aziona le luci di emergenza e s’incolla al telefonino per chiedere soccorsi. La puzza di bruciato è fortissima ma, fortunatamente, non è scoppiato un incendio.
Tra le persone l’umore è nero, oscilla tra l’ira e lo sconforto. Trovare adesso un altro autobus per andare all’Eur sarà un’impresa impossibile! Già normalmente i tempi di attesa del “31” sono biblici. Alle volte si aspetta perfino oltre un’ora; con i treni dell’alta velocità, si fa prima ad andare da Roma a Napoli! Il collasso del “31” è l’emblema di quello dell’Atac. Una ragazza dice: «È una vergogna! Gli autobus non funzionano mai! Non è un problema di una linea, ma generale. O non passano, o sono in grande ritardo, o si rompono! L’Atac è un disastro! È ora di farla finita!».
Un signore la pensa nello stesso modo e chiama in causa la sindaca di Roma: «La Raggi in campagna elettorale aveva fatto grandi promesse per rilanciare tutti i servizi pubblici. Ecco, vediamo come funziona bene l’Atac. E siamo stati pure fortunati. In molti altri casi gli autobus, perché vecchi o per cattiva manutenzione, sono andati a fuoco e non c’è scappato il morto per puro miracolo!». Seguono le domande alla sindaca: «Dov’è la Raggi? Cosa fa per far funzionare l’Atac al tracollo?».
Già, è quello che si domandano molti romani a un anno dalle trionfali elezioni a sindaco della giovane grillina. Virginia Raggi governa la città con una maggioranza assoluta cinquestelle in Campidoglio, eppure le decisioni o non ci sono o ritardano. Fioccano la accuse di immobilismo. Nell’occhio del ciclone sono soprattutto Atac e Ama, le aziende comunali che gestiscono i settori fondamentali del trasporto pubblico e dei rifiuti, che sono al collasso.
La Raggi ha respinto e respinge la proposta di privatizzare l’Atac per restituire efficienza al trasporto collettivo urbano. Già all’inizio di gennaio bocciò l’ipotesi privatizzazione: «Non faremo un passo indietro davanti chi mira a privatizzare l’Atac, strappandola dalle mani dei cittadini». La sindaca prometteva: «Siamo al lavoro per rilanciare l’azienda, renderla più efficiente e competitiva».
A cinque mesi di distanza il bilancio è disastroso. Non è arrivata l’Atac «più efficiente e competitiva», ma un caotico accavallarsi dei disservizi. L’azienda non è stata strappata «dalle mani dei cittadini», ma i romani sempre di più pagano un prezzo salatissimo per il servizio, tra tasse locali-nazionali e biglietti, mentre usano sempre di meno il trasporto pubblico per lo strutturale disfacimento. Si contano quasi quattrocento guasti al giorno e oltre dieci autobus sono andati a fuoco dall’inizio dell’anno. È un’impresa viaggiare in autobus, se poi c’è uno sciopero all’Atac è il caos, la paralisi di Roma, è meglio restare a casa.
È urgente, invece, se siamo ancora in tempo, un credibile progetto di rilancio di un’Atac pubblica. È urgente una risposta per il bene della città e per la stessa sopravvivenza della giunta cinquestelle, scossa da mille contrasti interni. Beppe Grillo fa il tifo per la Raggi ma, nelle elezioni comunali dell’11 giugno, ha dovuto incassare una pesante sconfitta, dovuta anche alla cattiva amministrazione del M5S di importanti città come Roma e Torino. Grillo è arrivato a perdere perfino a Genova, la sua città.