Avanti con la coalizione di centrosinistra. Basta coalizione. Rottamazioni incrociate. Nuova coalizione “larga” o “stretta”. La sconfitta elettorale ai ballottaggi di domenica 25 giugno brucia la pelle e i polmoni delle sinistre e del Pd. Le sinistre e i democratici respirano a fatica, con l’affanno, alla ricerca di una medicina efficace.
Per Prodi, Bersani, D’Alema, Pisapia, Nencini (sinistre riformiste esterne al Pd) la medicina è l’unità, la coalizione di centrosinistra: è questa la strada, ma diversamente modulata, per tornare a vincere sconfiggendo il centrodestra e i cinquestelle. Pier Luigi Bersani, però, ha chiesto “discontinuità” chiudendo la porta a una ricandidatura di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Andrea Orlando e Gianni Cuperlo (sinistra interna Pd) sollecitano Renzi a un immediato cambio di linea imboccando la strada della coalizione.
Sinistra Italiana, invece, non vuole più accordi con Renzi e con il Pd. Secondo Nicola Fratoianni e Stefano Fassina è ormai su posizioni neo centriste. La nuova sinistra radicale nemmeno vuol sentire parlare del segretario democratico. Tomaso Montanari e Anna Falcone, nell’assemblea del 18 giugno al Teatro Brancaccio a Roma, sono stati durissimi. Montanari ha tuonato: ormai Renzi «fa parte della destra».
Coalizione no, coalizione sì. Un caos post sconfitta elettorale. Renzi è per il no: «Il dibattito sulla coalizione addormenta gli elettori e non serve». Il segretario del Pd ha indicato un’altra strada, quella della leadership, dei risultati, dei progetti e dei contenuti: «Agli italiani interessa cosa facciamo sulle tasse…Trovatemene uno interessato alle coalizioni e gli diamo un premio fedeltà».
Renzi sembra intenzionato a rottamare la coalizione di centrosinistra puntando le sue carte sull’autosufficienza del Pd. Nelle elezioni comunali il segretario democratico ha scelto le coalizioni, ma ha perso anche a Genova nella quale il centrosinistra era unito. Così sindaco della città, storica roccaforte “rossa”, è divenuto un uomo del centrodestra, anche grazie all’aiuto dei voti targati cinquestelle.
Una “legnata” sulla testa di Romano Prodi. Va in rotta di collisione con Renzi. L’inventore dell’Ulivo, dell’Unione di centrosinistra e del Pd si era mostrato pronto a spendersi come “federatore” per ricomporre le tante divisioni del centrosinistra. La polemica con Renzi è dura: «Leggo che il segretario del Partito democratico mi invita a spostare un po’ lontano la tenda. Lo farò senza difficoltà, la mia tenda è molto leggera. Intanto l’ho messa nello zaino».
Sembra che Prodi si sia infuriato soprattutto dopo aver letto l’affermazione di Renzi al ‘Quotidiano Nazionale’: «I migliori amici di Berlusca sono i suoi nemici, che invocano coalizioni più larghe…». Secondo quel ragionamento, ha pensato Prodi, Renzi imputava la sconfitta del Pd a tutti i sostenitori della coalizione di centrosinistra, compreso l’inventore dell’Ulivo. Poi un post di Matteo Orfini su Twitter ha fatto deflagrare lo scontro. Il presidente del Pd aveva messo su Twitter un’immagine di un vertice dell’Unione ai tempi di Prodi. Si vedeva un enorme tavolo con l’allora presidente del Consiglio, alcuni ministri e una miriade di esponenti di partiti, partitini e micro partiti (in tutto 33 persone). L’immagine era accompagnata da un commento di Orfini dal sapore ironico: «La nuova linea è ‘Renzi convochi subito il tavolo del centrosinistra!’. Favoriamo l’immagine per facilitare il lavoro».
Non l’ha presa bene nemmeno Bersani. L’ex segretario del Pd, da febbraio nel Mdp, ha considerato atti di “ingenerosità” o perfino “canaglieschi” addossare agli scissionisti e alla sinistra in genere la responsabilità della “botta” alle comunali.
Ma la stessa maggioranza renziana è in fibrillazione. Dario Franceschini, uomo forte della maggioranza del partito, critica il segretario e il no alla coalizione: «Il Pd è nato per unire, non per dividere». I renziani di stretta osservanza sono in allarme. Temono un attacco concentrico contro il segretario, appena rieletto dal congresso a grande maggioranza di voti nelle primarie. Il primo passo dei critici sarebbe di candidare non Renzi, ma un altro nome a presidente del Consiglio tipo Enrico Letta o Carlo Calenda.
Tiene banco un caotico scontro. Il progetto di coalizione di fatto è archiviato. Sono arrivate rottamazioni incrociate, operate in modo corale e con obiettivi contrapposti dai diversi protagonisti.