Case, lavoro, scuole e ospedali. Papa Francesco in quattro anni di pontificato ha ripetuto mille volte queste parole. Le stesse pronunciate ossessivamente negli anni Cinquanta e Sessanta da Giuseppe Saragat e Pietro Nenni. Per i due leader del socialismo italiano erano la spina dorsale del programma di riforme, del governo di coalizione con la Dc per cambiare la società, per rendere più giusta e democratica l’Italia. Case, lavoro, scuole, ospedali sono divenute le parole chiave di Jorge Mario Bergoglio assieme a pace, ambiente, diritti umani, accoglienza degli immigrati.
Si capì subito il profilo del nuovo papa eletto dopo le traumatiche dimissioni di Benedetto XVI. La sera del 13 marzo 2013 si affacciò dalla loggia di San Pietro subito dopo l’elezione e conquistò immediatamente il cuore dell’enorme folla di fedeli con parole semplici: «Fratelli e sorelle buona sera». Li invitò a pregare per lui, il papa scelto dai «miei fratelli cardinali» in Argentina, «quasi alla fine del mondo».
Colpì la scelta del nome Francesco, il santo dedito ai poveri, l’artefice del rinnovamento morale della Chiesa. Colpì il semplice abito bianco senza stola e il crocifisso di ferro. Colpì la decisione di non alloggiare nelle sontuose sale dei Palazzi Apostolici ma a Casa Santa Marta, il semplice pensionato che in Vaticano ospita i cardinali riuniti per il conclave. Francesco stupì per i suoi comportamenti: da vescovo di Buenos Aires girava in autobus e in bicicletta, a Roma ha accettato di viaggiare su un’auto del Vaticano, ma non si trattiene dall’infrangere l’etichetta scendendo improvvisamente dalla macchina per comprarsi un paio di occhiali.
A 80 anni ha una buona fibra, regge bene alle fatiche e alle tensioni del pontificato. Viaggia molto in Italia e all’estero. Difende i giovani senza lavoro, i vecchi abbandonati, punta il dito contro il profitto senza scrupoli del capitalismo, critica lo scempio dell’ambiente. Insiste sul dialogo tra le religioni, la messa al bando della guerra, i pericoli della «terza guerra mondiale a pezzi».
La lotta alla povertà, la pace tra i popoli, la riunificazione delle Chiese cristiane, il dialogo con l’Islam sono il costante riferimento del suo pontificato. In questi anni il suo prestigio, il suo carisma sono cresciuti enormemente in Italia e a livello internazionale, con un ruolo geopolitico sempre più importante soprattutto in America Latina, in Medio ed Estremo Oriente. Il papa gesuita che si chiama Francesco ha riscosso grandi successi, ma nella Curia romana, in Vaticano, fa fatica ad affermarsi il suo rinnovamento.
Questa estate appare particolarmente difficile, è rovente per il papa argentino non solo per le alte temperature climatiche. Ne parla Massimo Franco in un articolo sul ‘Corriere della Sera’ dal titolo: “Fra trame di potere e veleni. Il percorso ad ostacoli di Francesco”. Il notista politico del quotidiano milanese, attento analista delle vicende vaticane, scrive: «Dopo dimissioni e nuove nomine si intravede l’affanno delle riforme di Bergoglio».
Spiccano tre casi. Il Primo. Libero Milone il 20 giugno si è dimesso dal ruolo di Revisore Generale del Vaticano (con tre anni di anticipo sul previsto). Era stato nominato il 9 maggio 2015, qualche mese dopo il suo computer fu violato. Secondo caso. Georghe Pell, il ministro dell’Economia della Santa Sede, ha lasciato il Vaticano. Pell è stato accusato di reati sessuali in Australia ed è partito «per difendersi». Terzo caso. Il primo luglio il papa ha deciso di non confermare Gerhard Ludwig Muller alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio. Il cardinale tedesco aveva completato la sua direzione quinquennale, ma avrebbe potuto essere confermato.
Da anni si parla di uno scontro in Vaticano tra cardinali conservatori e progressisti, tra innovatori e restauratori. Sono comparsi anche dei “corvi” che hanno sottratto e divulgato delle carte riservate di papa Francesco. Le tensioni sono fortissime, soprattutto nelle scelte dottrinarie e in quelle economiche. È quasi una “guerra interna” tra porporati.
Sarà un caso, ma Bergoglio ha accennato a una sua possibile uscita di scena. Nell’agosto 2014, ad appena un anno dalla sua elezione a successore di San Pietro, usò parole criptiche: «Ancora due o tre anni e via, si torna alla casa del Padre». Nel marzo 2015 è tornato sull’argomento: «Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve. Quatto o cinque anni. Non so, o due, tre. Ben due sono passati da allora». Perché? «È come un piccolo, vago sentimento». La Curia vaticana? «Vivo nell’ultima corte che rimane in Europa» perché «le altre si sono democratizzate».
Gli intrighi vaticani sono di vecchia data. Erano forti anche durante il lungo pontificato di Karol Wojtyla. Di tanti segreti era a conoscenza Joaquin Navarro-Valls, direttore della sala stampa vaticana dal 1984 al 2006. Ma il “portavoce” ed uomo di fiducia di Giovanni Paolo II è morto ieri, non potrà più dire nulla. Il papa polacco, di tempra morale e fisica fortissima, era molto popolare come papa Francesco. Bergoglio, come il predecessore, va avanti come un treno, stimato ed ascoltato a livello internazionale. Sa curare l’immagine ma può vantare contenuti di spessore. A sinistra è divenuto addirittura un mito Si arriva anche ai paradossi. Da alcuni esponenti della sinistra, in grave crisi, è indicato come il vero leader mondiale dei progressisti. Fausto Bertinotti fu il primo nel 2015 ad apprezzare il pontefice argentino: «Non mi pare che ci siano cose più interessanti di quelle che dice papa Francesco, nel desolante panorama politico europeo». L’ex segretario di Rifondazione comunista fu netto: la sinistra «o è morta o è ininfluente».
Fancis X. Rocca, in un editoriale sul “The Wall Street Journal”, scrisse nel dicembre 2016: «Quando Francesco diffonderà il suo tradizionale messaggio natalizio, questo fine settimana, non lo farà solo da Capo della Chiesa cattolica, ma anche da improbabile portabandiera di tanti progressisti in tutto il mondo».
Massimo D’Alema guarda con interesse a Bergoglio. L’ex segretario del Pds-Ds ora esponente del Mpd dopo aver lasciato il Pd, lo scorso maggio ha sollecitato la sinistra a trarre ispirazione “da Francesco” su come lottare contro i conflitti e i frutti avvelenati della globalizzazione.
Qualcuno ha accusato papa Francesco perfino di essere un comunista. Il pontefice ha replicato: «Per quanto riguarda l’essere comunista: sono certo di non aver detto nulla di più rispetto a quanto insegna la Dottrina sociale della Chiesa. Sono io a seguire la Chiesa, e su questo credo di non sbagliare». Non mancano gli illustri precedenti di interventi papali sulla dottrina sociale della Chiesa. Papa Paolo VI scrisse nel 1966 la “Populorum Progressio”, l’enciclica sulla questione sociale e morale. Giovanni Paolo II, il papa polacco che sconfisse il comunismo, nel 1991 promulgò la “Centesimus Annus”, l’enciclica sull’uguaglianza e il rispetto dei lavoratori.
Bergoglio sta conducendo la sua battaglia di rinnovamento con decisione fuori e dentro il Vaticano. Per qualcuno, però, potrebbe anche gettare la spugna come ha fatto Benedetto XVI. Rifacendosi alle parole sibilline di papa Francesco c’è chi vede le sue dimissioni tra la fine del 2017 e il 2018. Il pontefice gesuita agisce con impegno, ma è sempre più in allerta. Nel ristorante di Casa Santa Marta c’è stata una novità negli ultimi mesi. Prima mangiava al centro della sala, adesso è in un tavolo in un angolo. Si accompagna a pochi selezionati commensali e volta le spalle al resto della sala.