«Metti Lucky sulla mia tomba». Michael Collins, tra qualche mese, il 31 ottobre, compirà la bellezza di 87 anni, è passato alla storia come “il terzo uomo” a volare sulla Luna. I suoi compagni, tutti nati nel 1930, lo hanno lasciato indietro per un’impronta. Quella di Neil Armstrong (pilota collaudatore, morto il 25 agosto 2012) primo uomo a saltellare sul satellite del nostro pianeta e quella di Edwin Eugene Aldrin jr. detto “Buzz”, subito dopo.
Lui “Mike” sulla Luna non ha mai messo piede, forse per questo la sua popolarità è andata scemando nel corso degli anni, forse per questo non ha attraversato i traumi e le difficoltà dei suoi due compagni di avventura nella missione Apollo 11: Armstrong una sorta di eremita virtuale, alcol e depressione per Aldrin (come racconta lui stesso nell’autobiografia “Return to Earth” – pilota da combattimento). Se su qualche motore di ricerca chiedi di Michael Collins la prima cosa che vedi è il film di Neil Jordan sul patriota irlandese del 1996, per trovare Collins al primo posto devi aggiungere astronauta, ma se cerchi semplicemente Armstrong o Aldrin i primi a venire fuori sono loro, i due dell’Apollo 11.
Senza entrare nelle polemiche politiche, né sui contenuti del provvedimento, c’è da pensare che se nel 1930 in Italia fosse stato in vigore lo ius soli, forse Michael Collins avrebbe avuto anche la cittadinanza italiana oltre quella statunitense. Mike, infatti, è nato a Roma, in Via Tevere 16 (in ricordo c’è una targa di marmo), in quel periodo il papà, James Lawton Collins, anche lui nell’esercito americano, era incaricato presso l’ambasciata Usa di Roma. Collins trascorre così i primi 17 anni della sua vita in giro per le tante basi militari negli Stati Uniti. Nel 1952 finisce di frequentare l’accademia militare di West Point e per evitare accuse di nepotismo (non solo il papà ma anche gli zii sono nelle forze armate) sceglie di divenire pilota e frequenta l’Air Force Academy, impara a manovrare aerei con a bordo armi nucleari, nel 1956 è di stanza in Germania, durante il periodo della rivolta ungherese, torna negli Usa e diviene pilota collaudatore, accumula migliaia di ore di volo.
La svolta avviene nel 1962 dopo il volo intorno alla Terra di John Glenn, decide che il suo futuro sarà nello spazio, dopo un paio di tentativi andati a vuoto entra nel corpo astronauti. Nel 1966 arriva la sua prima missione con Gemini 10, obiettivo è agganciare un satellite lanciato precedentemente, pur tra diverse difficoltà la missione è un successo, Collins compie la sua prima attività extraveicolare e recupera dal satellite una piastra precedentemente montata. Durante la missione viene battuto il record di altitudine, superando quello sovietico della Voschod 2 (475 chilometri).
Risolto chirurgicamente un problema di ernia del disco che ne avrebbe compromesso l’attività di astronauta, Mike entra nel programma Apollo e diviene il pilota più esperto del CSM (Command Service Module).
La paura lo attanaglia già nella fase di preparazione alla missione: sarebbe stato lui l’unico superstite della missione, magari costretto dagli eventi ad abbandonare i suoi due colleghi a morte certa e fare ritorno da solo negli Stati Uniti, «un uomo marcato»… «Il mio terrore segreto – scrive Mike nel suo libro autobiografico del 1974, “Carrying the fire: an astronaut’s Journeys” – durante gli ultimi sei mesi è stato quello di essere costretto a fare ritorno sulla terra da solo, costretto ad abbandonare i miei compagni sulla superficie lunare…».
Il 16 luglio 1969 inizia l’avventura dell’Apollo 11, quella dei primi uomini a mettere il piede sul nostro satellite. La navicella spaziale è composta da tre elementi: il modulo di comando (CM), Columbia, nel quale sono stipati i tre astronauti, il modulo di servizio (SM) e un modulo lunare (LM) per l’atterraggio sulla Luna denominato “Aquila – Eagle”. Il comando della missione è affidato a Neil Armstrong. Il sogno del presidente John Kennedy, espresso nel 1961 davanti al Congresso degli Stati Uniti, sta per realizzarsi realmente: «Questo Paese deve impegnarsi a realizzare l’obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra».
Il 20 luglio l’Eagle si stacca dal Columbia e inizia la sua discesa verso il Mare della Tranquillità, Armstrong è costretto a correggere il sito dell’allunaggio perché il luogo identificato risulta essere eccessivamente roccioso. Alle 22.17 e 40 secondi l’annuncio: «Houston, qui base della Tranquillità. L’Aquila è atterrata». Tutto può accadere. Il presidente Richard Nixon è pronto ad ogni evenienza, anche al fallimento, lo testimonia il discorso preparato nell’eventualità dell’insuccesso: «Il destino ha ordinato che gli uomini che sono andati sulla Luna per esplorare in pace resteranno sulla Luna per riposare in pace. Questi uomini coraggiosi, Neil Armstrong e Edwin Aldrin, sanno che non c’è speranza per il loro recupero, ma sanno anche che ci sono speranze per l’umanità nel loro sacrificio».
A questo punto gli occhi sono tutti puntati su Armstrong e Aldrin. Alle 04.56 e 15 secondi ora italiana del 21 luglio, Armstrong entra nella storia con la frase studiata a tavolino prima della partenza: «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità». Le immagini in diretta entrano nelle case di 600 milioni di persone, la Rai conduce una telecronaca durata 30 ore. I destini dei tre astronauti prendono strade diverse, lo racconta proprio Collins nella sua autobiografia: «La missione era strutturata per tre uomini, e ritengo il mio “terzo” necessario quanto gli altri due. Non intendo negare un senso di solitudine. È lì, rafforzata dal fatto che il contatto radio con la Terra venne bruscamente interrotto quando scomparve dietro la Luna. Ero solo, assolutamente solo, e completamente isolato da qualsiasi altra forma di vita conosciuta. Sono io (la vita). Se si fosse fatto un conteggio, il punteggio sarebbe stato 3 miliardi più due dall’altra parte della Luna, e uno più Dio da questo lato».
Ancora oggi Mike Collins è stato il primo uomo ad essere nel punto più lontano dalla Terra, nella parte nascosta della Luna a oltre 300 mila chilometri di distanza. Mentre il mondo festeggia l’allunaggio, lui, che orbita attorno al satellite terrestre, è ignaro di tutto, perde i contatti radio con la terra e con i compagni, ignora se il Lem sia riuscito ad allunare indenne. Per Charles Lindbergh è lui l’eroe sconosciuto della missione Apollo 11: «Ha sperimentato una solitudine finora sconosciuta all’uomo». In orbita a circa 100 chilometri dalla Luna, per poco meno di 24 ore, per 48 minuti ogni ora e trenta è rimasto tagliato fuori dal mondo, poi di nuovo in contatto guarda la Terra che da lontano gli appare fragile e vulnerabile, isolata in uno spazio senza limiti, maltrattata dai suoi stessi abitanti.
Rientrati sulla Terra e accolti come eroi, i tre rivelarono anche di aver visto, nel corso della loro missione, oggetti volanti non identificati, ma di non essere stati in grado di riprenderli o fotografarli. Per molto tempo la Nasa tenne per sé questa rivelazione. Nei tour mondiali dopo il rientro Michael Collins è a Roma il 22 ottobre del 1969, a Via Tevere 16 è già stata posta la targa che ricorda la sua nascita, sindaco di Roma è da poco Clelio Darida. La visita è d’obbligo e Collins scherza: «Verrò ogni anno, a spese del comune di Roma, per spolverare e tenere pulita questa lapide». Potrebbe essere un grande regalo per il suo ottantasettesimo compleanno, e in fondo quella targa ha di certo bisogno di essere rinfrescata. Chissà se la sindaca ci penserà….