Incubo rubinetti a secco. I romani guardano con apprensione ai rubinetti di casa: tra una settimana l’acqua potabile potrebbe arrivare ad intermittenza o addirittura mancare. Tanto fuoco e niente acqua. Sono tempi bui per la capitale. Per la grave siccità e l’azione criminale di piromani, Roma già da settimane deve fare i conti con spaventosi incendi che hanno addirittura causato la chiusura dell’Autostrada del Sole e la distruzione di buona parte della pineta di Castel Fusano. Ora alle fiamme si aggiunge anche il pericolo di restare all’asciutto per la sparizione dell’acqua.
Il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, Pd, ieri ha annunciato allarmato: «Purtroppo è una tragedia. Sta finendo l’acqua a Roma». Il lago di Bracciano, una delle riserve idriche della metropoli, è ridotto ai minimi termini. Così una direttiva della regione Lazio ha vietato l’altro ieri all’Acea (l’azienda comunale per l’acqua, la luce e il gas) di prelevare acqua dal lago di Bracciano a partire dal 28 luglio. Zingaretti vuole evitare il rischio di “catastrofe ambientale” perché il livello del bacino è calato paurosamente negli ultimi mesi.
Il governatore del Lazio ha fornito dati da brividi: il lago già un mese e mezzo fa «era sotto la soglia minima di un metro e mezzo. Nel frattempo con la pioggia che non arriva, il livello è continuato a scendere di un centimetro al giorno». Il problema è grave, ma è possibile trovare una soluzione che assicuri l’acqua alle case e riduca i disagi anche perché, è il ragionamento, l’apporto di Bracciano rappresenta «solo l’8%» del flusso complessivo.
Lo scontro esplode con l’Acea e con il Campidoglio. L’azienda comunale multiutility paventa il peggio. Lo stop ai prelievi avrà gravi conseguenze: «Ci costringerà a mettere in atto una rigida turnazione della fornitura che riguarderà circa 1.500.000 romani». Paolo Saccani ha attaccato «l’atto abnorme e illegittimo». Secondo il presidente dell’Acea si tratta di «un atto irresponsabile» che comporterà il razionamento dell’acqua «alle attività produttive, turistiche, ai palazzi delle istituzioni, al Vaticano». Praticamente a tutti o quasi acqua col contagocce o per niente.
La situazione se non fosse drammatica sarebbe ridicola. La crisi era cominciata a metà giugno alla chetichella con la soluzione di togliere l’acqua temporaneamente e progressivamente alle 2.800 Nasone, le storiche fontanelle pubbliche in ghisa della città. Adesso siamo arrivati all’ipotesi del razionamento di massa. Un paradosso: manca l’acqua, ma Roma la butta. I circa 5.400 chilometri di tubature per la distribuzione dell’acqua nella capitale (in gran parte risalenti a dopo la Seconda guerra mondiale) sono un colabrodo: addirittura il 45% del prezioso liquido va perso per i guasti, le perdite e le cento cause di dispersione. Quasi la metà dei 18 mila litri al secondo, che scorrono nelle condutture dell’Acea, va perso. Se la rete idrica funzionasse bene, non ci sarebbero problemi di carenza di acqua anche in un periodo, come questo, di forte siccità.
Il problema delle tubature colabrodo c’è, lo riconoscono sia l’Acea sia Virginia Raggi. Saccani, però, giustifica la società: «L’azienda su mandato dei sindaci ha investito negli anni scorsi in fognature e depurazione, perché era lì l’emergenza, non è una responsabilità dell’Acea».
La sindaca grillina di Roma è allarmatissima. Ha ricordato di aver denunciato per prima la situazione drammatica del lago di Bracciano e ha rinviato la palla ai due contendenti: «Spero che soluzioni siano trovate quanto prima da Regione e Acea». La Raggi, però, riconosce l’esistenza del problema annoso delle condutture fatiscenti e dà man forte all’Acea: la società «sta monitorando e riparando la rete idrica per mettere fine alle dispersioni. Insomma un bel cambiamento rispetto al passato».
Il passato, il riferimento è ancora una volta alle responsabilità delle precedenti giunte di centro-sinistra e di centro-destra. Certo le condutture colabrodo sono un male antico, come il disastroso funzionamento dei trasporti pubblici e della raccolta dei rifiuti. Adesso Roma però, per la prima volta nella sua lunga storia, soffre anche per la penuria d’acqua. Un fatto mai successo. Il Campidoglio per salvaguardare questo bene pubblico primario forse si sarebbe dovuto muovere immediatamente. Non ci si può muovere solo all’ultimo momento. Se i lavori di riparazione, ammodernamento e potenziamento della rete idrica fossero partiti un anno fa, forse non saremmo a questo livello di emergenza.
Il governo è pronto a formalizzare lo stato di calamità naturale nazionale per la siccità. Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha annunciato: «Siamo pronti a collaborare con le Regioni nel censimento dei danni e nella verifica delle condizioni per dichiarare lo stato di eccezionale avversità atmosferica».
È una corsa all’ultimo minuto per l’acqua. Ma adesso solo l’arrivo di forti piogge ci può salvare. Il tifo per i temporali estivi è corale ed appassionato: per avere l’acqua e per combattere la soffocante afa con temperature sahariane attorno ai 40 gradi. Al posto di Caronte (come i meteorologi chiamano, scomodando la mitologia greca, lo stato di sole accecante e di alta pressione atmosferica) ci vorrebbe Zeus pluvio. Scrutiamo il cielo, come facevano i popoli antichi, nella speranza di provvidenziali nubi nere cariche di pioggia.