Sono quattro i pretendenti per l’Alitalia, ma uno è finto: l’Etihad. Alitalia Etihad sembra un binomio superato. Scaduto il termine di presentazione delle “offerte non vincolanti” per l’acquisto della società aerea italiana, gli analisti della Rothschild stanno ora valutando le proposte pervenute per fornire nei prossimi giorni un quadro ai tre commissari (Gubitosi, Laghi e Paleari).
Dalle indiscrezioni che filtrano, le cose sono andate meglio del previsto. Con quattro compagnie (EasyJet, Lufthansa, Ryanair ed Etihad, appunto) disposte a prendersi Alitalia per intero o quasi. E questo verrebbe incontro alle richieste del governo Gentiloni che ha sempre escluso lo smembramento e la vendita a pezzi.
Adesso bisognerà vedere se se le intenzioni dei quattro concorrenti saranno confermate a fine ottobre, cioè al momento della presentazione dei piani industriali e delle “proposte vincolanti”, quelle definitive. Al momento il rischio dello “spezzatino” sembra scongiurato. L’ex compagnia di bandiera italiana passerebbe di mano più o meno così com’è, con qualche taglio in più rispetto alla ristrutturazione seguita al fallimento di otto anni fa. Dei quattro aspiranti rimasti in gara, due sarebbero favorevoli a tenersi anche la manutenzione e il settore dell’addestramento. Niente da fare invece per l’handling, le attività di carico e scarico dei bagagli e i check- in, che passerebbero a ditte esterne.
Comunque sia, la pole position spetta di diritto a Lufthansa, che in passato ha più volte mostrato il proprio interessamento per il vettore. L’obiettivo sarebbe quello di avere un nuovo hub, facendo di Fiumicino il suo aeroporto di scambio per il Sud Europa e per il Mediterraneo. Se così fosse, Alitalia verrebbe ridimensionata e trasformata in una sussidiaria regionale del colosso tedesco, con un forte taglio dei 12.500 dipendenti attuali. Secondo le stime degli addetti ai lavori, un’ipotesi del genere comporterebbe non meno di quattromila esuberi. Ma EasyJet e Ryanair, le due low cost in corsa, farebbero ancora peggio. Per necessità e per cultura, dal momento che hanno un’organizzazione e una struttura di costi completamente diverse dalle compagnie tradizionali.
Un comandante Ryanair ha uno stipendio inferiore del 40-60% a quello di un collega Alitalia con analogo profilo professionale. E mentre il pilota italiano ha un contratto a tempo indeterminato, il 70 per cento del personale viaggiante Ryanair risulta assunto con “contratti di somministrazione di lavoro”, dopo essere stato reclutato attraverso società di lavoro interinale.
Non a caso, l’amministratore delegato della low cost irlandese, Michael O’Leary, continua a sottolineare che il suo interesse per Alitalia «resterà solo se ci sarà una ristrutturazione significativa, in modo che la compagnia sia ragionevolmente in grado di operare su una base redditizia».
A questo punto, “l’interesse” di Ryanair ed EasyJet per il malandato vettore italiano, trova una sola spiegazione: la necessità delle due maggiori low cost europee, ormai senza concorrenza sul breve raggio, di fare il salto di qualità, aggiungendo i collegamenti lungo raggio, quei voli intercontinentali che oggi riempiono le casse di Lufthansa ed Air France.
E veniamo al quarto giocatore in campo, Etihad. L’interesse di Abu Dhabi a riprendersi la società da cui è uscita solo a maggio scorso, dopo aver chiesto l’intervento dello Stato italiano, solleva parecchi dubbi. L’offerta “non vincolante” inviata dagli arabi sembra una mossa difensiva, un modo per non uscire definitivamente dalla partita e cercare di recuperare parte dei soldi investiti a suo tempo per prendersi il 49 per cento della compagnia aerea italiana. Alitalia Etihad? La società araba sembra fuori partita.