In attesa delle offerte d’acquisto, quelle “vincolanti” del prossimo 2 ottobre, i tre commissari straordinari che guidano Alitalia stanno cercando di accrescere i ricavi per far durare il più possibile i 600 milioni di euro del prestito ponte concesso a maggio dal governo. La strategia è quella di aumentare i collegamenti della giornata in modo che i veicoli restino fermi il meno possibile. Ma giorno dopo giorno bisogna fare i conti con un grande problema: la fuga dei piloti.
Non ci sono dati ufficiali e non si può sperare in alcuna conferma, comunque tra il personale di volo gira voce di una quarantina di uscite in un solo mese. Visto che i piloti dell’ex compagnia di bandiera sono circa 1.500, con un esodo del genere, nel giro di un anno, ne resterebbero poco più di mille. Quest’estate la fuga ha già reso più volte impossibile la formazione degli equipaggi, che poi è stata fatta manualmente ricorrendo a vari artifici. Come quello di mettere in cabina due comandanti, perché non si riusciva a trovare un primo ufficiale libero.
Già, perché i più richiesti sono proprio loro, i piloti a metà carriera, ai quali compagnie asiatiche, cinesi, mediorientali e nordeuropee offrono il ruolo di comandante e un aumento dello stipendio che, includendo i benefit, può arrivare fino al raddoppio.
Oggi 10.800 euro è lo stipendio lordo di un comandante di Alitalia con 21 anni di anzianità e circa 850 ore di volo all’anno. Ryanair, a fronte delle stesse caratteristiche professionali, garantisce 6.200 euro di reddito mensile. Ma lo stesso comandante in EasyJet, che pure è una low cost come Ryanair, guadagnerebbe più del collega Alitalia. Per non parlare di Lufthansa dove un primo ufficiale porta a casa 7.500 euro al mese, mentre un comandante con un’anzianità di servizio di 14 anni, può contare su 162.000 euro all’anno, e con un’anzianità di 30 anni, salire a 238.000.
Eppure l’idea che piloti e assistenti Alitalia siano una casta di privilegiati è dura a morire. Nacque ai tempi della Prima Repubblica, quando la compagnia di bandiera di proprietà dello Stato assomigliava a un circo Barnum usato dalla politica. Poi è arrivato il fallimento con la privatizzazione del 2006 e le cose sono cambiate, soprattutto per i più giovani. Certo, oggi un comandante Alitalia sta ancora bene, a fine carriera guadagna almeno 8.500 euro netti al mese. Per i piloti giovani, però, la musica è diversa. Gli assunti con i contratti Cityliner, i voli regionali, hanno uno stipendio base di 550 euro lordi al mese ed è su questo importo che viene calcolata la pensione. Poi incassano altri 500 euro circa di volo minimo garantito, più un bonus orario.
E così adesso stanchi di questa situazione e dell’incertezza che avvolge il futuro della compagnia molti si guardano attorno e inviano il curriculum. Sanno di avere mercato, sanno che i piloti italiani sono apprezzati perché quasi sempre hanno avuto una buona formazione a spese dello Stato, nell’aeronautica militare e nella scuola di volo di Alghero, fino a quando l’Alitalia l’ha tenuta in vita.
La grande fuga dei piloti era comunque nell’aria da mesi. Bastava leggere i dati del referendum che ad aprile scorso bocciò il piano di “salvataggio” messo a punto da Etihad. Quel piano prevedeva una diminuzione media dell’8 per cento delle paghe che in alcuni casi poteva arrivare fino a un terzo dello stipendio. Tra i 1.167 piloti e i 2.814 assistenti di volo aventi diritto, votarono 3.532. Stravinsero i “no”. Quasi un plebiscito. I sì furono appena 304.
F. Sa.