Italo Toni e Graziella De Palo nel settembre del 1980 scomparvero misteriosamente a Beirut, inghiottiti nel nulla. Non si seppe più niente di loro. Probabilmente sono stati uccisi, ma i loro corpi non sono mai stati ritrovati. I due giornalisti erano andati nella capitale libanese per scrivere degli articoli sulla guerra civile che dilaniava l’ex Svizzera del Medio Oriente. Marcello D’Angelo, giornalista e amico dei due inviati, ricostruisce l’incredibile vicenda ancora piena di tanti punti oscuri.
Trentasette, lunghi interminabili anni. Una storia infinita, non c’è un lieto fine e non c’è fine. Trentasette anni trascorsi inutilmente, non sono serviti a nulla. Qua e là, in questo tempo infinito, c’è stato qualche sprazzo di verità, qualche certezza, un inutile processo, qualche colpevole di reati collegati, ma nessuno chiamato a rispondere in prima persona di quanto avvenuto. Solo una serie interminabile di bugie, depistaggi, mezze ammissioni. Di Italo Toni e Graziella De Palo non si è saputo più nulla, scomparsi da 37 anni, inghiottiti in quel marasma infernale di guerra che era Beirut nel settembre del 1980, con la capitale spezzata in due da una “linea verde”.
Su Italo Toni (giornalista dell’Agenzia Notizie) e Graziella De Palo (collaboratrice di Paese Sera) è calata una cortina impenetrabile di silenzi, reticenze, segreti di Stato. Che fine hanno fatto? Chi ha voluto il loro rapimento e la loro uccisione? Se non fosse stato per la costanza e l’impegno della famiglia De Palo e di parenti e amici di Italo, oggi non ci sarebbero nemmeno quelle poche certezze su quanto avvenuto in quella capitale del Libano, l’ex Svizzera del Medio Oriente.
Ho conosciuto Italo e Graziella tra il 1979 e il 1980, lavoravamo assieme a Il Diario di Venezia, quasi immediatamente diventammo amici, certo Italo non aveva un buon carattere, ma certamente generoso e altruista. Graziella decisa e determinata, subiva probabilmente il fascino di un uomo maturo con un passato avventuroso e poco incline ad essere rinchiuso tra le quattro mura di un ufficio. Graziella collaborava con Paese Sera e all’occorrenza dava una mano in redazione. Stretto in una realtà locale troppo chiusa Italo riuscì a convincere l’editore Giancarlo Parretti a farsi trasferire all’Agenzia Notizie a Roma. Graziella, ovviamente, lo seguì.
Di certo ha ben poco a che vedere con quanto poi avvenne a Italo e Graziella in quel di Beirut, ma è un particolare che la dice lunga sul carattere di alcuni editori. Pochi giorni dopo la loro scomparsa Giancarlo Parretti pensò bene di licenziare Italo Toni e quando nel 1982 partecipai ad una delegazione Fnsi, il sindacato dei giornalisti, che si recò in Libano nel tentativo di acquisire informazioni utili dalle varie e diverse autorità locali anche il mio editore – nel frattempo ero stato assunto all’AdnKronos – Giuseppe Marra fece di tutto per impedirmi la trasferta. Così la Fnsi fu costretta ad intervenire con permessi sindacali. Ancora un breve ricordo prima di chiudere questa lunga parentesi personale: quasi subito dopo la scomparsa, su mia iniziativa e dei colleghi Ettore Tito e Giorgio Ricordy, venne creato un comitato di giornalisti per spingere le autorità italiane a fare luce sulla scomparsa, a presiederla Riccardo Lombardi. Furono raccolte centinaia di firme di giornalisti e consegnate alle più alte cariche istituzionali del Paese. Non servì a molto.
Trentasette lunghissimi anni (immaginate quanto per le famiglie!) senza una certezza, trentasette infiniti anni pieni di promesse e di scarsi risultati, trentasette anni colmi di inganni e depistaggi ai più alti livelli dello Stato, fino ad arrivare a quella barriera insormontabile del Segreto di Stato, ora decaduto, ma che ancora incredibilmente regge su alcuni fogli rimasti inconsultabili! Probabilmente pagine legate al “mitico” “Lodo Moro”, un accordo “sottobanco” da tenere segreto con i palestinesi affinché l’Italia fosse tenuta fuori dagli attentati, che in quegli anni insanguinavano spesso le capitali europee, in cambio di libero passaggio sul territorio italiano per gli uomini e le armi delle diverse fazioni palestinesi.
Trentasette anni in cui comitato e famigliari hanno pregato e implorato la politica di impegnarsi per la verità. Sullo scenario politico si sono succeduti sei presidenti della Repubblica, da Sandro Pertini (forse l’unico che urlò e strepitò con le autorità libanesi e con i rappresentati dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina), a Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella. Ben 18 Presidenti del Consiglio (senza contare che alcuni hanno presieduto più di un governo per un totale di ben 27 governi): Francesco Cossiga, Arnaldo Forlani, Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani, Bettino Craxi, Giovanni Goria, Ciriaco De Mita, Giulio Andreotti, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Silvio Berlusconi, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni.
Tanti uomini, tante promesse, infinite rassicurazioni, nessuna verità. Che Paese è quello che per convenienza, opportunismo, affarismo, incapacità, inerzia e altro lascia che la morte e/o la scomparsa di suoi cittadini possa restare impunita e che dopo 37 anni le famiglie non sappiano ancora cosa è accaduto ai loro cari, né abbiano una tomba sulla quale andare a pregare?
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