Gli sbarchi degli immigrati in Italia si sono dimezzati a luglio e ad agosto: il più importante successo di Paolo Gentiloni, ora riconosciuto anche da Francia, Germania e Spagna, in realtà è targato Marco Minniti. Da dicembre il ministro dell’Interno lavora sodo e in silenzio ad un’impresa che sembrava impossibile: frenare o fermare la valanga d’immigrati disparati che da anni attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Italia, prima tappa temporanea (ma molte volte definitiva) verso l’Europa.
Minniti, 61 anni, orgoglioso, calabrese,appassionato di aerei col sogno da ragazzo di fare il pilota, famiglia di generali dell’Aeronautica, Pci-Pds-Ds-Pd, ex dalemiano che non ha seguito nella scissione a sinistra l’ex presidente del Consiglio, è riservatissimo. Non parla del bollente dossier libico sul quale si sono bruciati tanti governi, tanti presidenti del Consiglio e tanti ministri dell’Interno. Giusto nella conferenza stampa al Viminale di Ferragosto si era limitato ad osservare: «Sul fronte dei migranti in Libia comincia a muoversi qualcosa».
Già, l’impresa titanica di ridurre l’immigrazione sembra riuscire. Minniti, per realizzare l’obiettivo, ha giocato la carta del dialogo con i sindaci e con i capi delle tribù libiche. Li ha incontrati più volte a Roma e in Libia. L’ultima riunione con 14 sindaci delle comunità libiche è avvenuta al Viminale la scorsa settimana. È stato un successo. Nel comunicato stampa congiunto finale si sono indicati «i trafficanti di uomini» come «un nemico comune». L’impegno dell’Italia e della Libia è individuato nel «fornire alternative di crescita e sviluppo» alle comunità locali. In sintesi: i sindaci della Tripolitania (frontiera marina a nord del paese) e quelli del Fezzan (la parte desertica meridionale del confine) chiedono fondi (e l’Italia concorda) per realizzare diverse opere pubbliche, in particolare ospedali e scuole. In cambio danno il disco verde alla sorveglianza delle frontiere.
Emmanuel Macron, Angela Merkel, Mariano Rajoy, nel vertice di ieri a Parigi allargato ai leader di Libia, Niger e Ciad, hanno approvato e lodato l’Italia. C’è il sì al finanziamento dei progetti di sviluppo indicati a livello locale dai sindaci libici. Il presidente del Consiglio Italiano ha indicato la formula vincente con due parole: crescita e lavoro in Africa per contenere l’immigrazione. Il presidente della Repubblica francese, in particolare, ha elogiato il piano dell’Italia per combattere i trafficanti e ridurre i flussi migratori: «Il lavoro tra Italia e Libia è un ottimo modello…L’intesa tra Italia e Libia è stata perfetta».
Se arriverà anche la parte economica del patto tra Roma e Tripoli, continuerà a funzionare anche quella militare. Da qualche mese la guardia costiera del paese nord africano, al contrario del passato, sta bloccando le partenze dei barconi dei migranti e sta combattendo i trafficanti di uomini. Utilizza anche le quattro motovedette fornite dall’Italia a giugno. Il flusso dei profughi bloccato è gigantesco: una marea di africani, in maggioranza provenienti da Ciad, Sudan, Niger, Nigeria, Mali, Eritrea, sta confluendo ed è confluita in Libia. Si parla di 700 mila persone accolte, in molti casi in condizioni umane pessime, in decine di campi. L’obiettivo è farli tornare nelle loro case.
L’emergenza immigrati occupa Minniti a tempo pieno. Al Viminale ha anche organizzato una “Cabina di regia” con i ministri dell’Interno di Libia, Ciad, Mali e Niger; ieri, prima del vertice di Parigi, c’è stata la seconda riunione. Il principale obiettivo è combattere i trafficanti e i criminali di ogni tipo, e realizzare centri di accoglienza per i migranti irregolari in Ciad e Niger e migliorare quelli esistenti in Libia.
I problemi politici, economici, etnici, culturali sono enormi. La Libia è un insieme di etnie e di culture diverse che fanno fatica a convivere dopo il crollo della dittatura di Muammar Gheddafi nel 2011. Da allora la nazione è nel caos e nel vuoto di una autorità centrale forte, proliferano i terroristi islamici dell’Isis e le molteplici organizzazioni criminali.
La stabilizzazione del paese, detentore di grandi giacimenti petroliferi e di gas, è difficile. Il governo Gentiloni riconosce, tratta e ha stipulato accordi con Fayez al Serray, il premier del governo di Tripoli, un esecutivo di accordo nazionale sostenuto dalle Nazioni unite. Tuttavia Fayez al Serray guida un governo debole che, a stento, controlla la Tripolitania. Il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, sostenuto dall’Egitto e dalla Russia, contesta al Serray e, in passato, ha duramente criticato l’Italia.
Ma da qualche tempo tace. Sembra che Minniti abbia avviato anche con l’uomo forte del governo di Tobruk un dialogo positivo, allargato anche all’Egitto, la potenza regionale vicina alla Russia di Putin. Una intesa globale, alla quale lavora Minniti il Libico, sembra possibile. Non a caso Macron, che a fine luglio aveva invitato a Parigi al Serray e Haftar tentando di scavalcare l’Italia, ha fatto un buco nell’acqua e ora ha deciso di appoggiare il piano italiano sulla Libia. Sempre che il vertice di ieri a Parigi tra Francia, Germania, Spagna e Italia riesca a mantenere fede in sede di Unione europea ai proclamati impegni.
Minniti, nel massimo riserbo, ha portato a casa vari successi politici e diplomatici in Libia e con i principali paesi europei sullo spinoso problema dell’immigrazione. Lo aiutano la tenacia, la conoscenza degli apparati dello Stato e la regola del silenzio. Ha fatto tesoro della conoscenza dei servizi segreti: per anni è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega ai servizi di sicurezza prima di approdare alla guida del cruciale Viminale. Nonostante la debolezza del governo Gentiloni, la stella di Minniti il Libico sale veloce nel firmamento della politica italiana. Sale forse anche troppo velocemente.