Gli storici dibattono ancora se Marcello fosse papa o semplice diacono. Quel che è certo è come è morto perché ci è raccontato con dovizia di particolari dal Liber pontificalis, una sorta di gazzetta ufficiale dei papi. In questo testo si racconta che Marcello, benché fosse ormai finita da una manciata di mesi l’ultima terribile persecuzione di Diocleziano, a causa soprattutto di lotte intestine alla comunità dei credenti (dovute soprattutto ai lapsi, cioè a coloro che avevano rinnegato la fede per evitare la persecuzione), fu condannato da Massenzio ai lavori forzati presso le stalle dei pacchi pesanti nel Catabulum, una sorta di ufficio smistamento annesso alle poste centrali.
Marcello diventerà così una delle ultime vittime delle persecuzioni contro i cristiani (a lui o a chi per lui sono succeduti i papi Eusebio e Melchiade a formare una sorta di transizione prima di arrivare al ben noto San Silvestro, il papa che battezzò Costantino nel battistero del Laterano). Ma Marcello, dicevamo, è noto ora anche perché permette con una certa esattezza la collocazione del primo servizio postale della storia, il Cursus Publicus creato da Augusto sul finire del primo secolo avanti Cristo e strutturato come servizio universale, come si direbbe adesso, da Adriano poco più di un secolo dopo.
Sul luogo del martirio di Marcello sta una grande e bella chiesa a ricordare e renderne certa la collocazione. Sappiamo così che lì si era nelle stalle alle spalle delle poste, collocate nel Portico di Agrippa che si estendeva di lì verso piazza di Spagna, sul lato verso il Quirinale e il Pincio della via Lata, il lato urbano di via Flaminia. Che il portico di Agrippa fosse in quella zona lo sappiamo, oltre che per gli scavi archeologici che ne hanno rinvenute tracce, anche grazie a Marziale che ci racconta come da casa sua, addossata all’acquedotto dell’Aqua Virgo sulle pendici del Quirinale, poteva vedere gli allori del Portico di Agrippa.
Che l’edificio, completato nel 7 avanti Cristo, avesse a che fare con le poste ce lo dice un altro indizio: conteneva l’orbis terrarum, una sorta di cartina del mondo allora noto basata sui Commentarii scritti dallo stesso Agrippa. Secondo le ricostruzioni questa cartina indicava le principali vie di comunicazione allora esistenti, con segnate le varie stazioni per il cambio dei cavalli della posta. È quanto sostiene lo storico Filippo Coarelli, che sul tema ha tenuto una lezione anche alla fine della primavera scorsa presso la British School di Roma.
I romani che passavano da quelle parti potevano avere una rappresentazione cartografica della grandezza e della potenza dell’impero. Nel vicino Tempio della pace, l’ultimo dei grandi fori imperiali ad essere edificato in età severiana fra Palatino e Quirinale, era contenuta infatti, nell’enorme parete in un grande ambiente a fianco della cella del tempio, oggi identificabile nella parete a sinistra della facciata su via dei Fori della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, la piantina in scala della città di Roma come si presentava agli inizi del terzo secolo.
Qualche decina di metri più a nord, passando al riparo dal sole – o dalla pioggia – di portico in portico, come era possibile fare nella Roma imperiale, si giungeva a vedere la cartina delle principali strade per viaggiare in tutto il mondo allora conosciuto: dalle colonne di Ercole alle Indie, dalla Britannia al deserto africano. Una sorta di ufficio informazioni al servizio di turisti e viandanti.
Quel che è certo è che già ai tempi di Augusto era in funzione una sorta di servizio di posta celere che permetteva al primo imperatore di comunicare quotidianamente con il suo generale Agrippa, con il fido consigliere Mecenate e con la moglie Livia, ovunque si trovassero. E proprio di Agrippa, che girava il mondo per garantirne la pace al comando delle sue legioni, si narra la mania di descrivere tutte le regioni miglio per miglio, piede per piede, con fiumi, monti, mari e strade. Una sorta di primo cartografo, il cui lavoro non è andato perduto ma è rimasto scolpito sui muri del portico a lui dedicato da Augusto.
Se qualcuno volesse fare mai un giorno un francobollo con l’effigie dell’uomo simbolo del primo servizio postale al mondo, dovrebbe ricordarsi di Agrippa.