I malumori tra Giuliano Pisapia e Massimo D’Alema prima erano sommersi, ora esplodono in aperto scontro politico. E sono scintille tra le due sinistre che pure cercano di costruire un unico partito. Risultato: sono ai ferri corti Campo Progressista e Artitolo 1 Movimento democratico e progressista, più semplicemente Mdp.
Lo scontro è sui rapporti con Matteo Renzi, con il governo guidato da Paolo Gentiloni e sul rinnovamento generazionale. Tutte e due le sinistre sono per “una netta discontinuità” con la politica del segretario del Pd e con quella del governo per combattere le aumentate disuguaglianze sociali, ma sul come realizzarla si aprono forti divaricazioni. Pisapia, leader di Campo Progressista, vuole “sfidare” Renzi ma non lo considera “alternativo”. La stessa impostazione vale per l’esecutivo presieduto da Gentiloni ora alle prese con due importanti scadenze: la legge di Bilancio e quella per rivedere il sistema elettorale. Massimo D’Alema, però, boccia ogni tipo d’intesa e di alleanza elettorale con il segretario del Pd.
Altro che unità, i rapporti tra Pisapia e D’Alema sono arrivati addirittura al punto di rottura. L’ex sindaco di Milano ha sollecitato l’ex segretario del Pds-Ds a farsi da parte: «D’Alema? Deve fare un passo di lato» perché «anche lui, come Renzi, è divisivo». Ha sottolineato: «D’Alema sa perfettamente che io sono a disposizione di un progetto unitario e invece lui continua a fare dichiarazioni che dividono». L’occasione dello scontro è stata la decisione se e a quali condizioni votare in Parlamento la manovra economica del governo.
Il problema, per ora, è stato superato perché alla fine sia i senatori di Campo Progressista sia quelli di Mdp hanno votato a favore ai primi passi della legge di Bilancio, ma la spaccatura politica resta. La ferita tra le due sinistre sanguina. Pisapia, che aveva già sollecitato un ricambio generazionale nelle candidature alle prossime elezioni politiche, adesso ha mollato ufficialmente D’Alema. Ha attaccato: «Lui era favorevole» a votare contro lo scostamento di bilancio, ma un no avrebbe portato all’aumento dell’Iva.
Massimo D’Alema per ora non ha replicato, la tensione è altissima. L’ex presidente del Consiglio in una intervista al Corriere della Sera di qualche giorno fa non aveva risparmiato delle frecciatine a Pisapia: «Dovrebbe essere più coraggioso». La sollecitazione era a candidarsi per un seggio in Parlamento ripensando al suo no, ma a prescindere dal tema l’invito ad “essere più coraggioso” non è un bel viatico per chi dovrebbe guidare il futuro partito unitario della sinistra italiana (la costituente è prevista a novembre). E poi D’Alema non ha molta intenzione di seguire l’invito di Pisapia a farsi da parte. Non a caso aveva precisato: si ricandiderebbe alla Camera se la richiesta “venisse dai cittadini”.
Ma ora sembra essere stata messa in discussione la stessa leadership di Pisapia, già al centro di contestazioni. Lo scorso primo luglio nella manifestazione a piazza Santi Apostoli a Roma era stato investito, presente Pier Luigi Bersani, del mandato di riunificare le sinistre e di ricostruire “un nuovo centrosinistra”. Bersani lo ha più volte incoraggiato: «Giuliano Pisapia è perfettamente in grado di fare il federatore» della sinistra. Lo slogan della manifestazione romana era: “Insieme”. Tuttavia adesso quello slogan suona fortemente stonato.