La Lega Nord cammina su due gambe: la Lega Lombarda e la Liga Veneta, ma quella più forte finora era sempre stata la prima. I tre segretari del Carroccio, dalla fondazione ad oggi, sono tutti lombardi: Umberto Bossi, Roberto Maroni e Matteo Salvini. La Lombardia è la più ricca e la più popolosa regione del Belpaese.
Prima la Lombardia e seconda il Veneto, da domenica 22 ottobre non è così. Nei due referendum consultivi per l’autonomia regionale, il Veneto ha battuto la Lombardia, l’eterna seconda è diventata prima. Il “sorpasso” della Liga Veneta è avvenuto su più fronti. Nel Veneto i votanti sono stati il 57,2% degli aventi diritto e al 98,1% hanno detto sì alla super autonomia dal governo nazionale. In Lombardia i votanti si sono fermati al 38,3% e i sì sono stati il 95,3%. Il Veneto con il referendum consultivo chiede di diventare una regione a statuto speciale come il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta, la Sicilia e la Sardegna. Il referendum lombardo, invece, si è limitato a chiedere maggiori poteri alla regione.
I soldi, le tasse sono al centro del contenzioso con il governo di Roma. Luca Zaia ha messo al lavoro i suoi giuristi per scrivere un progetto. Come al solito sorridente e pacato nei modi, però è andato giù duro sui contenuti: «Noi chiediamo tutte le 23 materie e i nove decimi delle tasse». Il presidente leghista del Veneto vuole incontrare il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: «Chiederemo che il Veneto diventi una regione a statuto speciale».
La divisione tra leghisti veneti e lombardi è forte, la gamba Liga Veneta marcia separata dalla Lega Lombarda. Roberto Maroni vuole maggiori poteri e più risorse finanziarie «su tutte le 23 competenze previste», ma si ferma qui. Il governatore leghista della Lombardia ha sintetizzato il suo disegno: «Regione speciale e non a statuto speciale». La differenza è notevole, e doppia: è politica e costituzionale. Un conto è rivendicare più poteri (dalla scuola al lavoro, dall’ambiente al turismo) un altro è puntare su “un’autonomia a statuto speciale” per la quale si deve modificare la Costituzione della Repubblica e che a qualcuno fa pensare ad un anticipo di secessione, a una premessa di dichiarazione d’indipendenza tipo Catalogna in Spagna.
La divisione pesa. Maroni ha confessato parlando di Zaia: «Mi ha un po’ spiazzato, non era concordata questa mossa…Vedremo se sarà possibile un percorso comune». Per lui «ora c’è un problema all’interno della Lega. E un altro con il governo». Traduzione: Lombardia e Veneto, le due regioni d’Italia a guida leghista, sono divise; per la prima è possibile un confronto con l’esecutivo senza grandi scosse, mentre per la seconda si profila una discussione quasi impossibile. Paolo Gentiloni ha già messo le mani avanti: pronto al dialogo ma a patto «di rispettare le leggi» e di non rompere «l’unità del Paese». Il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa è stato più netto: il progetto di Zaia per una regione a statuto speciale «va contro l’unità e l’indivisibilità del Paese…Non è una proposta catalana, ma una proposta che la Corte Costituzionale ha bocciato e Zaia lo sa».
La battaglia in favore del ricco Nord sembra far tornare indietro l’orologio della politica ai tempi di Bossi, quando il senatùr vent’anni fa dichiarò a Venezia l’indipendenza della cosiddetta Padania. Poi di fronte al no della maggioranza dei cittadini settentrionali ripiegò sulla scelta del federalismo e tornò al governo con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio. Bossi, comunque, mantenne sempre al Carroccio l’identità e il programma di alfiere degli interessi del Nord e la pensa ancora così.
Salvini, invece, ha deciso la trasformazione della Lega da forza localistica del Nord in una destra sovranista nazionale, perfino nazionalista, ostile agli immigrati e all’euro, che vuole raccogliere voti in tutta Italia. Ma se il pendolo leghista riprenderà ad oscillare verso il Nord sarà difficile raccogliere consensi nel Centro-Sud.
I referendum sembrano dar torto a Salvini e ragione a Bossi. Ma il segretario del Carroccio non fa marcia indietro, anzi rilancia e propone una ulteriore svolta: cambiare il nome della Lega cancellando la parola Nord. Dopo il consiglio federale in via Bellerio a Milano ha annunciato ai giornalisti: «Siamo tutti allineati su un simbolo elettorale unico per tutta Italia, senza Nord». Ha confermato la strategia della Lega nazionale e non più nordista: «Che la Lega si chiamerà Lega è chiaro da mesi».
Troppi avversari per la Liga Veneta e Zaia, interni (Salvini e Maroni) ed esterni (il governo Gentiloni). Così adesso comincia a “frenare” anche il governatore del Veneto. Il 25 ottobre, parlando al consiglio regionale veneto, ha sottolineato: «La questione dello statuto speciale è per me un impegno morale». Traduzione: è un impegno etico, non politico. È il là ad una possibile trattativa comune con la Lombardia al tavolo dell’esecutivo.