«Marciapiedi dissestati, sterpaglie un po’ dappertutto, qualche alberello stento, cassonetti dell’immondizia sbilenchi e mezzo bruciati, e naturalmente ogni muro imbrattato di scritte smisurate. Il silenzio e la solitudine era ciò che più colpiva». Così viene descritto da Ernesto Galli della Loggia – in un articolo sul Corriere della Sera del 2 novembre scorso – un certo quartiere periferico di Roma dove si era dovuto recare per una banale incombenza: ritirare la propria automobile, che era stata revisionata in un’officina della zona.
Il noto storico e editorialista ammette, nel suo scritto, che certe zone decentrate di Roma gli erano state fino a quel momento «totalmente sconosciute». E aggiunge che questo suo incontro ravvicinato con la periferia romana gli ha mostrato in maniera «più netta e tangibile la questione dell’ineguaglianza».
Un moto di meraviglia, questo di Galli della Loggia, che sa un po’ di retorica populista. Perché basta percorrere quartieri centrali o semicentrali di Roma per vedere con i propri occhi i medesimi marciapiedi dissestati, le sterpaglie cresciute ovunque, gli stessi mucchi di immondizia e i muri imbrattati da scritte smisurate. Con in più – elemento tralasciato dall’editorialista del Corriere – strade quasi impraticabili perché disseminate di buche e di avvallamenti. In altri termini, il degrado tocca ormai la totalità di quella che sempre più si stenta a definire capitale del Paese.
Dunque, se proprio volessimo trarre una considerazione generale, dovremmo dire che il declino di Roma – via via più accelerato in questi ultimi anni – sta facendo diventare la città un’unica, gigantesca periferia…