Era chiarissimo fin dall’inizio che il Candidato Premier per antonomasia – il grillino Luigi Di Maio – aveva finalmente trovato il coraggio di lanciare il suo guanto di sfida a Matteo Renzi, per affrontarlo in TV, sull’onda favorevole di un auspicato trionfo del M5S in Sicilia. Tanto è vero che aveva posto fra le sue condizioni che il “faccia a faccia” televisivo si svolgesse dopo il 6 novembre, ossia a risultati elettorali già noti. Uno sperato aiutino, e non da poco, per cercare di mettere con le spalle al muro il segretario del Pd, il quale nei duelli TV non è certo una mammoletta.
Ma, come spesso capita agli scaltri grillini, la realtà non si è accordata con i desideri e le elezioni siciliane hanno acquistato per il M5S, viste le loro elevate aspettative della vigilia, il sapore di una mancata vittoria. Così Di Maio – tornato di nuovo insicuro di sé, senza l’asso siciliano nella manica – si è affrettato a cancellare la partita televisiva con Renzi, cercando perfino di rovesciare sul suo avversario la responsabilità della non commendevole ritirata. «Con te non ci parlo», ha detto in sostanza, «perché non sei più il leader del Pd dopo la sconfitta che hai subito in Sicilia».
Una scusa patetica ed arrogante, che parrebbe suggerita da un Bersani qualsiasi per delegittimare Renzi. Così come la sorda minaccia lanciata ieri dal rinunciatario Di Maio nei confronti di Renzi: «A breve ci sarà una Direzione del Pd dove il tuo ruolo sarà messo in discussione». E sì, pare proprio un’anticipazione-minaccia modellata sulle speranze (e sui suggerimenti?) di un Bersani qualsiasi.