Se i milioni di elettori italiani che alle prossime votazioni politiche non si recheranno ai seggi avessero piena coscienza e conoscenza della situazione di piena libertà democratica, e quindi di “privilegio”, che si vive nel nostro Paese, non rinuncerebbero con tanta leggerezza ad esprimere il loro voto. L’Italia, infatti, è nel gruppo di testa delle 22 nazioni, in Europa e in Nord America, che hanno un più elevato Democracy Index (indicatore di democrazia) su un totale di 167 Paesi nel mondo. Così come emerge, costantemente, dal rapporto che ogni anno il settimanale The Economist pubblica sull’argomento.
L’ultimo rapporto riguarda il 2016 e in quell’anno il nostro Paese era, per tasso di democrazia, a pari merito con gli USA e ad appena 0,1 punti al di sotto del Giappone. Mentre era al di sopra di 0,6 punti rispetto alla tanto celebrata Francia, di +0,12 punti in confronto a Portogallo e Israele, di +0,17 punti rispetto alla tanto decantata democrazia indiana, di +1,15 punti al di sopra della Polonia, di +1,23 punti rispetto alla Croazia, e via dicendo.
Ebbene – non fosse altro che per rispetto verso gli elettori dei 54 Paesi dove la democrazia è meno ampia della nostra; dei 39 Paesi dove ci sono regimi “ibridi” (definizione del The Economist) e quindi poco democratici; dei 52 Paesi dove operano regimi compiutamente “autoritari” – i milioni di elettori astensionisti del nostro Paese farebbero bene a ripensare la propria posizione. Perché con questo andazzo non si farà altro che azzoppare la piena democrazia che esiste in Italia e che è stata certificata, anno dopo anno, da un report internazionale.
Perché se milioni di italiani pensano di punire la politica e di protestare duramente – non recandosi ai seggi – fanno un pessimo uso della loro piena libertà, che non è un dato acquisito per sempre ed eterno. In considerazione di ciò gli elettori del nostro Paese devono assumersi le proprie responsabilità e non continuare a mettere a rischio la nostra democrazia.