Le grandi aziende scappano dalla capitale, mentre la sindaca sembra una “turista per caso”. La definizione è di Carlo Calenda. Il ministro dello Sviluppo economico è irritato dalla mancanza di proposte della Raggi al “Tavolo per Roma”.
Non si può dargli torto. Il “tavolo” è nato per frenare la fuga delle grandi aziende che mette a rischio 11 mila posti di lavoro, attirando piccole imprese innovative, da invogliare con programmi, progetti, infrastrutture. Ma l’apporto del Campidoglio fino ad oggi è stato “pari a zero”. Virginia Raggi – attacca Calenda – alle riunioni apre la bocca solo per dire “dateci più soldi”. E ancora: «Io contatto con il mio staff Unindustria, Camera di Commercio e le prime cento imprese romane per capire quali sono i problemi e quali le opportunità. Le riunisco, ma la sindaca non c’è».
«Non intendo fare polemiche» – assicura lei – in un paio di interviste in cui le si chiede garbatamente di replicare alle accuse del ministro. Poi il solito: «Io sto lavorando per il bene di tutti i cittadini romani», seguito da altre banalità. Vale la pena di notare che le interviste (si fa per dire) alla Raggi ormai si assomigliano tutte. Sono senza contraddittorio. Niente domande incalzanti. Niente fatti e cifre per smentire affermazioni non veritiere e senza riscontro. Niente di niente.
Un esempio per tutti. Milano ha appena visto sfumare i miliardi di euro legati alla sede dell’Ema, l’Agenzia europea per il farmaco in fuga da Londra. E la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha dato subito una stilettata alla sindaca accusandola di non aver candidato la capitale. Replica stizzita dell’interessata: «Noi eravamo a favore…». Ma non è così. A luglio 2016, appena arrivata in Campidoglio con una maggioranza assoluta, chiuse immediatamente il discorso: «La sede dell’Ema non è una priorità». A conferma di quella scelta sciagurata, c’è il fatto che gli uffici capitolini non hanno mai preparato un’istruttoria o messo a punto un dossier.
Non solo. Il 24 novembre, uscendo dal ministero dell’Economia dove aveva incontrato Calenda e altri rappresentanti del governo in una riunione del “Tavolo su Roma”, ha contrattaccato: «Evidentemente il ministro della Salute ha preferito candidare Milano con gli esiti che purtroppo sono a tutti noti. Se avesse candidato Roma magari avremmo avuto più chance…».
Milano e Roma rappresentano ormai due realtà inconfrontabili. Il capoluogo della Lombardia ha combattuto alla pari con capitali importanti come Amsterdam, Copenaghen, Bratislava, Dublino. E se l’è giocata fino al sorteggio finale, forte di quei 25 punti e del primo posto conquistato alla prima votazione. Infatti aveva il dossier migliore. Trasporti, infrastrutture, il Pirellone pronto ad ospitare un migliaio di dipendenti Ema con un affitto scontato (la metà di quello della sede londinese) e un “piano di trasloco” che non trascurava alcun dettaglio.
Tutto questo mentre Roma precipita ogni giorno di più. Prendiamo la metropolitana, che ha una rete ridicola, adesso chiude alle 20,30. “Fino al 21 dicembre” come recita l’avviso sui display delle stazioni, senza fornire alcuna spiegazione. La capitale è sempre più degradata, inefficiente e sporca. Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti ha appena fatto sapere che «Roma ha avanzato una nuova richiesta di trasferimento dei rifiuti fuori regione». Con buona pace dell’incremento della raccolta differenziata che il Campidoglio continua miracolisticamente a prospettare come soluzione al problema “monnezza”.
Intanto la sindaca Raggi ha presentato il Grab, il Grande raccordo anulare delle biciclette. La Ciclovia turistica –ha scritto su Twitter– «è il nostro modello di mobilità sostenibile». Ora, al di là dello stato pietoso in cui versano le piste ciclabili esistenti, ci sarebbe un piccolo problema: il tracciato del Grab, una volta realizzato, incrocerebbe in più punti il Grande raccordo anulare. Quello vero.