La vicenda di Amazon Italia è sicuramente rappresentativa di come e di quanto un moderno “vizio collettivo” abbia ormai stravolto la nostra convivenza, il nostro modo di vedere noi stessi e gli altri, il nostro modo di concepire la politica e il sindacato. Parlo del consumismo, che per certe sue recentissime caratteristiche potrebbe essere ridefinito “consumismo globalizzato”.
Ciò che lascia interdetti, nella vicenda Amazon Italia, non è solo la sostanziale indifferenza dell’azienda per le condizioni dei propri dipendenti ma anche il fatto che – durante lo sciopero – le persone abbiano continuato furiosamente a comprare, come se la cosa non le riguardasse. E molte di loro sono magari dei lavoratori trattati non meglio di quelli di Amazon. Con il risultato che le “vendite boom” di venerdì scorso hanno fatto fare un balzo in avanti al titolo dell’azienda e arricchito di altri miliardi Jeff Bezos.
Ora, certi effetti deleteri del fenomeno consumistico potrebbero – a mio parere – spiegare, molto più delle tante elucubrazioni di stampo tradizionale, i motivi per cui i cosiddetti corpi elettorali sembrano aver perso l’orientamento: per cui gli inglesi hanno votato la Brexit; gli americani hanno votato Trump; gli europei si rivoltano contro le élite e contro la scienza; i catalani pretendono l’indipendenza non perché veramente oppressi ma perché lo desiderano e basta; certi Paesi dell’Est Europa si rifiutano di accogliere non dico un immigrato ma neppure un profugo.
Si dirà, ma che c’entra il consumismo? Beh, come affermano molti filosofi – compreso il nostro Umberto Galimberti – si tratta di un moderno vizio collettivo che agisce in maniera devastante sulle singole personalità, per cui alla fine condiziona le scelte collettive. E così il cerchio si chiude.
Esso si basa, infatti, su meccanismi di eliminazione degli oggetti ancora utili e validi, per cui i medesimi oggetti nascono già morti, in un certo senso. E porta quindi a enormi sprechi. Ma non solo. Il consumismo – ci dicono i filosofi – ha un suo approdo obbligato, il nihilismo, per cui, secondo Umberto Galimberti (“I vizi capitali e i nuovi vizi”, Feltrinelli Super UE, Milano, 2003) vengono introdotti nella personalità e nei comportamenti degli esseri umani nuovi effetti negativi e nuove distorsioni: 1) il principio della distruzione; 2) l’inconsistenza delle cose e, di conseguenza, la mancanza di rispetto per i nostri oggetti, per noi stessi e per gli altri; 3) il dissolvimento della durata temporale; 4) la crisi dell’identità personale; 5) l’evanescenza della libertà; 6) la politica come consumo.
Tutto ciò, secondo me, si riflette poi nelle scelte collettive, anche se non è questo il luogo per approfondire un’analisi così complessa. Non è inutile, invece, accennare ad un altro “nuovo vizio” collettivo individuato da Galimberti e che, a mio parere, potrebbe avere sempre più influenza sulle scelte di voto degli elettori. Si parla del conformismo, ossia di quella condizione per cui, nell’età delle tecnica e dell’economia globale, «lavorare significa in realtà col-laborare all’interno di un apparato, dove le azioni di ciascuno sono già anticipatamente descritte e prescritte dall’organigramma per il buon funzionamento dell’apparato stesso». Una condizione che, in parte, può spiegare anche l’insoddisfazione di vasti strati di lavoratori e di impiegati.
Un altro “nuovo vizio” che potrebbe – secondo me – influenzare le scelte di un elettore è ciò che Umberto Galimberti definisce sociopatia ossia una sindrome che alla fine dell’Ottocento veniva identificata da molti psichiatri come “follia morale” oppure “imbecillità morale”. Oggi potrebbe essere definito un “vizio” perché, a differenza del passato, la sociopatia si è diffusa a macchia d’olio e sembra essere il modo di vivere di molti. Secondo lo scrittore americano Andrew Vachss, con questo modo di vivere l’individuo «segue solo i propri pensieri, procede per la sua strada, avverte solo il proprio dolore». «Sì – prosegue la descrizione di Vachss – non è forse la via giusta per sopravvivere in questo letamaio? Aspetta il tuo momento, abbassa la visiera. Non lasciare che ti leggano il cuore». A parere di Galimberti, comunque, la sociopatia «è piuttosto un’immaturità affettiva che nasconde una puerilità di fondo con conseguente indifferenza alle frustrazioni, incapacità di esprimere sentimenti positivi come simpatia e gratitudine, vita sessuale impersonale e non coinvolgente, apatia morale difficilmente incrinata da sentimenti di rimorso o di colpa, mancanza di responsabilità, falsità e insincerità, condotta antisociale…».
Altro vizio dei nostri tempi che può influenzare le scelte elettorali è il diniego, ossia «un modo per mantenere segreta a noi stessi la verità che non abbiamo il coraggio di affrontare». «I mezzi di informazione – dice a questo proposito Galimberti – che ci fanno conoscere come mai prima era accaduto tutto quel che succede nel mondo, ci hanno messo nella condizione di praticare un nuovo vizio che rischia di passare inosservato perché molto diffuso, senza che la sua diffusione diminuisca di un grammo la sua tragicità. Questo vizio è il diniego, che consiste nel negare, nelle forme più svariate e ipocrite, l’esistenza di ciò che esiste e per giunta si conosce. È un vizio antico ma i mezzi di informazione lo hanno reso esponenziale».
Il diniego è molto subdolo «perché – dice il filosofo – assume forme così camuffate e per giunta così diffuse, al di là di ogni immaginazione, da risultare praticamente irriconoscibile. Basta porre attenzione ad alcune frasi o espressioni comuni quali ‘chiudere un occhio’, ‘distogliere lo sguardo’, ‘guardare dall’altra parte’, ‘mettere la testa sotto la sabbia’, ‘non sollevare la polvere’, ‘fare lo struzzo’, ‘lavare i panni sporchi in casa propria’, ‘dire una mezza verità’, per renderci conto di quanto le forme di diniego siano diffuse, e quanto devastanti siano gli effetti, nel mondo privato e in quello pubblico, di questo atteggiamento che nega ciò che esiste e che si conosce».