Campo Progressista ha avuto una vita brevissima, è durato appena 10 mesi. Era nato con grandi ambizioni. Giuliano Pisapia l’aveva fondato lo scorso febbraio con l’obiettivo di costruire il quarto polo del sistema politica italiano, quello a sinistra del Pd renziano. Voleva raccogliere i milioni di voti degli elettori di sinistra e progressisti delusi da Matteo Renzi, che votano per il M5S o si rifugiano nell’astensione.
Ma il progetto è naufragato. Pisapia mercoledì 6 dicembre ha scritto definitivamente la parola fine: «Dobbiamo prendere atto che non siamo riusciti nel nostro intento». L’ex sindaco di Milano ha rotto il dialogo con Matteo Renzi perché al Senato il disegno di legge sullo “Ius Soli”, diretto ad allargare le condizioni per richiedere la cittadinanza italiana da parte degli immigrati, è stato messo in discussione troppo in là nel tempo, con la quasi certezza di finire su un binario morto. Per il segretario del Pd è un brutto colpo: aveva corteggiato con determinazione il leader di Campo Progressista per dare vita a una coalizione di centro-sinistra alle elezioni politiche della prossima primavera.
L’ex sindaco di Milano suscitava grande entusiasmo anche tra gli uomini alla sinistra del Pd, quelli che proprio a febbraio avevano detto addio a Renzi (Bersani, Speranza, D’Alema). Pier Luigi Bersani, alla ricerca di “un nuovo Prodi”, aveva puntato le sue carte su Pisapia definendolo “il federatore” delle tante e diverse anime del centrosinistra. Mesi di discussioni e di trattative per costruire «un nuovo centrosinistra largo e inclusivo» e «radicalmente innovativo»
Alla fine sembrava fatta. Il primo luglio Pisapia lanciava lo slogan “Insieme” perché «da soli non si va da nessuna parte» e si apre la porta alla «vittoria delle destre e del populismo». A piazza Santi Apostoli a Roma lo applaudivano Bersani, D’Alema, Speranza, Civati, Fassina, Bonelli, Tabacci.
“Discontinuità netta” con le politiche e la leadership di Renzi erano le parole magiche della progettata intesa a sinistra assieme alla volontà di difendere i diritti economici e sociali dei lavoratori, di combattere le disuguaglianze. Ma i dissensi covavano. Uno su tutti: Pisapia si considerava in competizione con il segretario del Pd ma non alternativo, voleva discutere su un programma per una eventuale intesa elettorale. Le varie anime della sinistra invece, in grande maggioranza, non volevano neppure sentire parlare di un accordo con Renzi e lo invitavano a percorrere una strada di contrapposizione. Di qui lo scontro e la rottura, ad ottobre, in particolare con D’Alema accusato di “dividere” e invitato a fare un passo indietro.
Ogni tentativo di ricucitura è andato a vuoto, il leader di Campo Progressista non ha cambiato strada. È arrivata la frattura con le tre sinistre alla sinistra del Pd. Movimento democratico e progressista, Sinistra Italiana e Possibile domenica 3 dicembre hanno affidato a Pietro Grasso la guida della lista elettorale unitaria “Liberi e uguali”, quella offerta in precedenza con tanta insistenza al leader di Campo Progressista.
La rottura con Renzi del 6 dicembre è stata l’ultima tappa, segna la definitiva caduta della stella Pisapia. Una parte di Campo Progressista andrà con i bersaniani e un’altra parte con i prodiani che starebbero pensando di organizzare una lista civica alleata del Pd alle politiche. L’ex sindaco di Milano ha confermato il suo spirito disinteressato: «Per quanto mi riguarda ripeto, come ho detto fin dall’inizio, non sarò candidato al Parlamento». Pisapia desiderato da tutti, alla fine è stato restio con tutti.