La Grecia fuori dal tunnel della miseria. Dalla catastrofe sfiorata della bancarotta. Il peggio è passato. Titoli e termini impropri. «È vero purtroppo il contrario – ci dice Spiros Balaskas, titolare della Milano-Travel, una delle più importanti agenzie portuali di Igoumenitsa – non un euro dei soldi erogati dall’Europa finisce nelle tasche dei greci. A noi rimangono solo le tasse, tante, asfissianti. Siamo le vittime sacrificali dello strozzinaggio finanziario internazionale. In queste condizioni quale imprenditore straniero è disposto ad investire un solo euro in Grecia? Siamo in ginocchio e chi parla di ripresa è semplicemente un irresponsabile. O un cretino».
«E andrà sempre peggio – afferma la gente che incontri per strada, nei bar, nei ritrovi – perché i politici rubavano prima e rubano adesso».
La crisi la annusi nell’aria ed è scritta, indelebile, sui muri e sulle vetrine dei negozi sempre più vuoti. Vendesi, affittasi, chiuso. Si calcola che oltre il 30-40% delle attività commerciali ad Atene, Salonicco, Patrasso, Joannina e delle altre città più importanti della Grecia è stato costretto ad abbassare la saracinesca. «Le tasse ci stanno mangiando vivi – spiega Christos Tsoumanis, titolare insieme al fratello Lambro di un panificio con annessa pasticceria a Sivota, una delle località balneari più gettonate della Grecia – basti pensare che su cento euro che incassiamo ben l’82% se lo prende lo Stato. Per non parlare poi degli altri balzelli. Oggi ci viene tassata anche l’aria che respiriamo. La ripresa economica? Se tutto va bene intorno al 2030».
Sotto accusa Tsipras e la sua politica economica finanziaria troppo accondiscendente verso l’Europa. «Si presenta come un partito di sinistra – dice ancora Christos – ma fino ad ora ha fatto solo cose di destra. Ha impoverito la Grecia, la gente è ormai allo stremo. Stipendi, salari e pensioni tagliati pesantemente. La stragrande maggioranza della popolazione greca è costretta a vivere con non più di ottocento euro al mese. La mattina ci svegliamo e già sappiamo che dobbiamo pagare qualcosa in più al governo. Ancora pochi mesi e nelle grandi città ci sarà solo e soltanto disperazione».
Quattro anni di dura austerità hanno lasciato il segno sulla popolazione. Migliaia e migliaia di persone non hanno più accesso a beni di base e a un minimo esistenziale dignitoso. Curarsi è diventato un lusso. Negli ospedali a volte mancano persino gli aghi per suturare le ferite. Ai ragazzi che partono per il servizio di leva consigliano di portarsi lenzuola e asciugamani da casa. La disoccupazione è drammatica: una persona su tre non lavora e molti che il lavoro lo avevano lo hanno perso o lo stanno perdendo. Aumenta a dismisura il numero di coloro che non hanno una casa o sono costretti a venderla perché non più in grado di poter pagare il mutuo. Le pensioni sono state falcidiate del 40-50% mentre le tasse sui beni di prima necessità continuano a lievitare di giorno in giorno. L’Iva sull’Ouzo e sul Sipuro, le due bevande tradizionali, è arrivata al 28%.
Ed è tornato a circolare come accadeva negli anni ’50 e ’60 il Tefteri: il libricino dei conti. Il libricino nero del salumiere dove si segnano i debiti e i crediti. Dove si segnano i conti in sospeso perché la gente non ha i soldi per pagare giornalmente. Per la prima volta dopo anni di benessere la Grecia si interroga sul proprio futuro e i partiti nazionalisti e anche quelli nazisti diventano più forti attirando a sé il malcontento della gente. «È una vergogna per noi ma anche per l’Europa intera – afferma Dimitri Papaioannus, vittima delle torture del regime dei colonnelli – vedere sui banchi del nostro Parlamento una formazione di stampo nazista (Alba Dorata, Krisi Avghi per i greci) eletta democraticamente da quella democrazia che invece abiura. Arriva alla gente con argomenti che fanno presa sulla massa: lotta agli immigrati, la Grecia ai greci. Organizza mense, occupazioni, fa da primo soccorso per gli indigenti. Occupano sempre più minacciosamente gli spazi e il vuoto provocato da questa devastazione economica».
«Tutto questo ha un fondo di verità, la gente è allo stremo – ribatte Stavros Kostapulos, ingegnere – ma è indiscutibile che a Tsipras l’Europa ha messo la corda al collo. O firmava gli accordi capestro che hanno umiliato un intero popolo o si andava allo scontro aperto. E avremmo perso noi, i più deboli. Tsipras ha dovuto fare una scelta drammatica e ha scelto il male minore. Non va dimenticato – continua – che nei momenti più difficili cominciava a scarseggiare tutto: medicine, generi di prima necessità, materiali vari. Dall’Italia e dal resto d’Europa non arrivava più niente per paura che i greci non potessero onorare i pagamenti. E da qui ad una svolta autoritaria (undici colpi di Stato negli ultimi ottanta anni, n.d.r.) la strada è molto breve. Certo, non siamo messi bene, ma meglio i sacrifici sperando in una ripresa che il bavaglio. Usciremo da questo tunnel scavato dall’oligarchia europea. Oggi per la prima volta nella storia della Grecia – conclude Stavros – chi ha più soldi paga più tasse. Finalmente un po’ di giustizia sociale anche se purtroppo gli armatori, grazie all’avallo dei colonelli ieri e oggi dei partiti che hanno formato i governi precedenti, (i socialisti del Pasok e la destra di Nea Dimokratia), i veri colpevoli di questo disastro economico, e ad una Costituzione che li protegge, continuano a pagare tasse irrisorie sulle loro immense ricchezze».
Alexis Tsipras pagherà probabilmente il conto alle urne per questi quattro anni di duri sacrifici. «Ha scelto di sacrificare la sua immagine di eterno ragazzo ribelle facendo scelte impopolari – puntualizza Dimitri Ritsos, medico – per il bene del Paese anche se di errori ne ha commessi. Ma sempre in buona fede per cercare di portare il nostro popolo verso sponde più sicure. È un politico serio e affidabile, ancorato alla realtà, che oggi purtroppo fa schifo. Un male sicuramente per lui, perché i greci non hanno capito e lo puniranno alle prossime elezioni, ma un bene sicuramente per la gente perché ha evitato il peggio. Farà uscire il Paese dalla crisi – conclude – e questo già sta accadendo anche se sono in pochi ad ammetterlo. Nel 2018 è prevista una crescita del Pil del 2,4% trascinato dagli investimenti e dai consumi, mentre sui mercati internazionali sono riapparsi i bond greci. Qual è il guaio? Tsipras ha tracciato il solco per salvare il nostro Paese non lasciandosi trascinare in avventure senza sbocco, mettendoci la faccia pur sapendo che lo avrebbero fatto a pezzi. Purtroppo domani saranno i partiti che hanno cavalcato l’onda della protesta popolare, a cominciare da Nea Dimokratia, responsabile insieme al Pasok di questo tracollo, a raccogliere i frutti».
Ma la realtà per i greci, in attesa di poter di nuovo tornare a fare una vita dignitosa, è sotto gli occhi di tutti. La devastazione economica ha trascinato all’inferno anche le poche industrie operative compresa quella più fiorente, del tabacco, che si è sempre prodotto in Grecia. C’erano i macchinari, c’erano le coltivazioni. Scoppiata la crisi e l’instabilità governativa gli imprenditori hanno chiuso le aziende e le compagnie più note (Karelia e Assos) hanno trasferito il tutto in Bulgaria, perché ai lavoratori danno la metà del salario che pagavano in Grecia. Fabbriche che davano lavoro, ricchezza. «Il nostro problema – dice Niko Zagos, titolare di una taverna dove si mangia la pita, una piadina arrotolata con dentro cipolle, pomodoro, patatine, zaziki (yogurt misto a cetrioli e aglio) e carne di maiale o pollo – è che non produciamo nulla. Tranne lo yogurt. Però fa un giro misterioso. Va in Germania e poi torna in Grecia passando dalla Bulgaria. Abbiamo anche l’olio, ma dobbiamo mandarlo all’estero per imbottigliarlo perché in Grecia mancano le industrie di imbottigliamento. Sa quale è la grande fortuna della Grecia e che ha impedito fino ad ora il default? Sono le isole e i villaggi. C’è un’idea di comunità, ci si conosce tutti. Tu aiuti me, io aiuto te. È questo che ci ha salvato e ci salva dalla catastrofe».