Il viaggiatore nella remota isola di Pasqua trova la pizza napoletana: non è gustosa come quella infornata a Mergellina ma è comunque appetitosa. La pizza è saporita, nutriente, poco costosa. Ha avuto un successo travolgente e globale. Le tante qualità l’hanno fatta salire sul podio del più famoso e diffuso piatto a livello internazionale, si può mangiare in ogni angolo dei cinque continenti.
Forse anche per questo la pizza napoletana è diventata “patrimonio dell’umanità”. Più esattamente: l’arte del pizzaiolo partenopeo è proclamata “patrimonio dell’Umanità”. Il Comitato per la Salvaguardia del patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco (l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura) ha premiato la candidatura italiana. Per l’Italia si tratta del 58° bene tutelato. La motivazione dell’Unesco mette insieme valenze professionali, culturali, sociali: «Il know-how culinario della produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pista, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale».
La battaglia dell’Italia, iniziata nel 2009, è durata ben 8 anni. Il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina non contiene l’entusiasmo: «Vittoria! Identità enogastronomica italiana sempre più tutelata nel mondo». Già perché la pizza, apprezzata da tutti i palati del pianeta, ha anche un altissimo valore economico. Gli americani sono i maggiori consumatori planetari con 13 chili a testa l’anno, battendo perfino gli italiani (7,6 chili) che pure guidano la classifica europea sopra gli spagnoli (4,3), i francesi e i tedeschi (4,2), i britannici (4), i portoghesi (3,5) e gli austriaci (3,3).
Il giro di affari solo in Italia è gigantesco. L’Accademia Pizzaioli e la Coldiretti danno dati vertiginosi: 12 miliardi di euro, 100 mila lavoratori fissi nel settore, altri 50 mila nei fine settimana. Ogni giorno vengono sfornati in Italia 5 milioni di pizze nelle circa 63 mila pizzerie e locali di prodotti per l’asporto. C’è anche un enorme valore sociale perché crea occupazioni anche in situazioni e zone difficili, evitando la marginalizzazione di tante persone.
Il riconoscimento dell’Unesco all’arte dei pizzaioli napoletani rafforza l’immagine dell’Italia nel mondo. Ci voleva. Nell’ultimo mese le cose sono andate proprio male. L’Olanda ci ha soffiato la sede dell’Ema (l’agenzia europea di controllo sui medicinali) per la quale era candidata Milano, il Portogallo si è aggiudicato il presidente dell’Eurogruppo (composto dai ministri delle Finanze dei paesi euro) per il quale si era ipotizzato il ministro dell’Economia Padoan, la nazionale di calcio italiana (sconfitta dalla Svezia) non è stata nemmeno ammessa al Campionato Mondiale di Russia 2018.
Meno male che c’è la pizza e i pizzaioli napoletani. Dobbiamo ringraziare il loro lavoro e la loro creatività. Secondo la leggenda fu inventata oltre tre secoli fa a Napoli. Alla fine del 1700 Giuseppe Sorrentino ottene la prima licenza per la cottura. Dobbiamo ringraziare anche Raffaele Esposito, il geniale inventore della pizza Margherita, secondo leggenda. Esposito nel 1889 si narra che la cucinò cucinò per il re Umberto di Savoia e la moglie Margherita in visita a Napoli, che alloggiavano nel palazzo reale di Capodimonte. Confezionò una patriottica pizza tricolore bianca, rossa e verde (mozzarella, pomodoro, basilico) e alla domanda su quale fosse il nome, rispose prontamente: «Margherita!». Un nome in omaggio della regina d’Italia. Dobbiamo anche ad Esposito la rivincita dell’Italia sul fronte mondiale della pizza.
R.Ru.