Gentiloni prorogato. Più che in Italia sembra di vivere su Marte, tra i marziani. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ancora non ha sciolto le Camere, ancora non sono state fissate le elezioni politiche ma già si dà per scontata l’ingovernabilità. Ancora non è partita ufficialmente la campagna elettorale e già si dà per scontata la mancanza di una maggioranza politica omogenea nel prossimo Parlamento. La Camera e il Senato ancora stanno votando gli ultimi provvedimenti di fine legislatura e già si dà per scontata la “proroga” del governo Gentiloni dopo le elezioni per tornare a votare per una seconda volta.
Gentiloni prorogato. Discussioni fuori della realtà. Discorsi da marziani su Marte (pianeta notoriamente disabitato) o da marziani sulla Terra (anche qui, in teoria, non dovrebbero girare per le strade). Eppure sui giornali, nelle televisioni e su internet impazzano le proposte e i commenti pro o contro la proroga del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Dopo le ipotesi e i colloqui politici riservati, sotto traccia, di queste ultime settimane, Silvio Berlusconi ha fatto scoppiare pubblicamente la questione. Il giornalista Bruno Vespa ha avanzato la domanda sulle incognite del dopo urne e il presidente di Forza Italia ha fatto esplodere i petardi dicendo sì all’idea della proroga: senza una maggioranza dopo le elezioni “la soluzione più corretta” è che Gentiloni resti al governo per “almeno tre mesi”, poi si rivoterà.
La preoccupazione si chiama instabilità. La possibilità di un Gentiloni bis non dispiacerebbe neanche a Romano Prodi e a Walter Veltroni, fondatori del Pd. Il presidente della Repubblica starebbe ragionando su questa eventualità. Ma anche tra le fila della sinistra crescerebbe la convinzione della necessità di garantire la stabilità. Un fatto è sicuro: il “governo di responsabilità”, nato nel dicembre 2016 sotto la bandiera di un esecutivo fragile, ha mietuto molti successi.
Gentiloni prorogato. È divampato un putiferio politico e mediatico. Matteo Salvini urla la sua protesta contro l’ipotesi dell’alleato Berlusconi possibilista su un governo di “larghe intese” guidato da Gentiloni. Il segretario della Lega Nord, che si propone come presidente del Consiglio in contrapposizione al Cavaliere, arriva a minacciare la rottura della coalizione di centro-destra.
Un secco “no” di Pier Luigi Bersani stoppa la “palla” a sinistra. Uno dei principali fondatori di Liberi e uguali, la nuova lista elettorale a sinistra del Pd, respinge l’ipotesi perché poggia su “una logica di un establishment”. L’ex segretario del Pd punta su una soluzione molto diversa. Bersani, in rotta di collisione con Matteo Renzi, dice “mai” a un governo con la destra e apre la porta invece a un eventuale esecutivo con il Pd e il M5S.
Niente male. La XVII legislatura repubblicana, forse anche per il numero non certo ben augurante, non ha avuto una vita fortunata. Ha avuto una esistenza difficile, travagliata. Il centro-sinistra guidato dal Pd di Bersani, allora segretario, ottenne più voti nelle elezioni politiche del 2013, ma conquistò la maggioranza solo alla Camera e non al Senato. Bersani la definì una “non vittoria”. Così in cinque anni si sono succeduti tre diversi governi centrati sul Pd: prima Enrico Letta diede vita a un ministero di “larghe intese” con Berlusconi; poi Renzi, divenuto segretario del Pd, formò nel 2014 un esecutivo assieme ai centristi di Angelino Alfano che avevano rotto i ponti con il presidente di Forza Italia; un anno fa affondò anche il governo Renzi, sostituito dall’amico e compagno di partito Gentiloni a Palazzo Chigi.
Gentiloni prorogato. Per ora il presidente del Consiglio, difendendo la sottosegretaria Maria Elena Boschi sul caso della Banca Etruria (“ha chiarito”), si limita a confermare di voler concludere regolarmente questa legislatura.
Nel 2013 lo scontro fu tra quattro poli (centro-sinistra, centro-destra, centristi tecnici di Mario Monti, cinquestelle) e ci fu l’ingovernabilità. Nella prossima primavera, probabilmente a marzo, la sfida elettorale sarà sempre tra quattro schieramenti ma con protagonisti diversi: oltre al M5S e al centro-destra ci sarà un “centro-sinistra ridotto” (basato su Pd, Psi, Verdi, prodiani, radicali di Emma Bonino) e la sinistra di Liberi e Uguali guidata da Pietro Grasso (che però non si chiama sinistra perché vuole puntare anche ai voti centristi dei cattolici). Ma se si spaccasse anche il centro-destra la sfida sarebbe tra ben cinque poli.
Potrebbe anche non emergere una maggioranza dalle urne, ma non è detto. Nelle elezioni il popolo sovrano decide chi votare valutando leadership e programmi. I problemi dell’Italia, esaurita e scossa da una lunghissima e grave crisi economica, aspettano una risposta. Sviluppo, occupazione, giovani, tasse, pensionati, asfissiante burocrazia, disuguaglianze sociali, immigrazione, pericolo terrorismo islamico sono tutti temi bollenti. Chi si candida alla guida del paese deve proporre delle soluzioni, possibilmente convincenti, per risolvere i tanti problemi. Invece stiamo assistendo a una discussione tra marziani senza i marziani forse perché gli occhi sono puntati su riposizionamenti verso gli alleati e gli avversari. Però siamo solo all’inizio della campagna elettorale. Speriamo in un ripensamento, in un nuovo corso.