Barboni, clochard, sbandati. Occupano lo stretto spazio di uno sportello bancomat all’interno di una banca, per dormire al coperto evitando il freddo della notte di dicembre. Oppure cercano rifugio nel porticato di una chiesa o semplicemente sotto i balconi di un palazzo. Sono coperti di abiti usati di due taglie più grandi, hanno gli occhi semichiusi dalla stanchezza e vivono di elemosina. Si trovano dappertutto a Roma: al centro e in periferia. Ma sono più numerosi quelli nelle vie del centro storico. Sono italiani e extraeuropei, uomini e donne. In genere sono anziani, ma non mancano anche i giovani.
Fino a dieci anni fa questi vagabondi senza casa erano pochi e finivano a dormire sotto le stelle della capitale, in gran parte, per scelta di vita e non per necessità. La Grande crisi economica ha cambiato tutto. Adesso è la povertà, la disperazione a imporre una vita avvilente e rischiosa. Anche fisicamente pericolosa. A settembre “Il principe”, un barbone simpatico a tutti gravitante attorno a piazza Venezia, è stato picchiato selvaggiamente per futili motivi da un ragazzo ed è morto tra forti sofferenze. A marzo un altro clochard è stato picchiato a morte nella zona dell’Arco di Travertino.
Per le donne, se possibile, può andare anche peggio. Una brasiliana senza dimora quasi cinquantenne è stata picchiata e uccisa a novembre nel sottopasso di Piazza della Croce Rossa, in pieno centro, dopo un rapporto sessuale consumato di notte tra rifiuti e immondizie di ogni genere. Una clochard tedesca cinquantenne, invece, a settembre è stata picchiata, legata e stuprata per una notte a Villa Borghese, un bellissimo e degradato parco nel cuore del centro storico.
Molti barboni trovano cibo e ricovero nelle strutture della chiesa cattolica o in quelle pubbliche. Ma tanti si arrangiano nelle strade, sotto i ponti del Tevere, nei parchi urbani, sotto i viadotti di strade come la Flaminia, all’altezza del centro Rai di Saxa Rubra. Dormono nei cartoni da imballaggio trasformati in sacco a pelo o in baracche fatiscenti fatte di lamiera e legno.
La Comunità di Sant’Egidio ha fatto una radiografia di questa drammatica realtà romana provocata dalla povertà, dalla disperazione e dall’emarginazione sociale. Questo è il tragico bilancio: sono 7500 le persone in emergenza abitativa; un esercito di uomini e donne che, in parte dormono all’aperto (3mila) e in parte in alloggi di fortuna come edifici abbandonati e insediamenti abusivi (2mila). Poi, ce ne sono altri 2500 che vengono ospitati in parrocchie, centri convenzionati di Roma Capitale e associazioni di volontariato o religiose. A questi si aggiungono 10mila famiglie in attesa di un alloggio popolare e 6000 famiglie con una sola persona, spesso anziana.
Le abitazioni da assegnare, le energie e i fondi vanno organizzati meglio. La Comunità di Sant’Egidio ha proposto una cabina di regia per utilizzare al meglio il patrimonio immobiliare di Roma, tra case sfitte e immobili di proprietà demaniali e comunali. Marco Impagliazzo presidente della Comunità di Sant’Egidio ha parlato «della necessità di creare una sinergia positiva visto che a Roma ci sono 250 mila case sfitte oltre al patrimonio pubblico». Già, ci vorrebbe un progetto politico per dare assistenza, lavoro e casa a tanti barboni, tuttavia non si vede niente all’orizzonte. La politica è assente.