Niente nuove tasse sulla casa, nessuna imposta patrimoniale ma vanno colpite le pensioni d’oro. Di Maio ondeggia. Escluso l’addio all’Unione europea perché il M5S non vuole violare ma “ricontrattare” le regole europee. Addio alla politica contro Bruxelles e gli eurotecnocrati. Tuttavia, se ci sarà il referendum, lui voterà per abbandonare l’euro. Di Maio ondeggia.
Stabilità, stabilità, stabilità. E ancora. Basta con l’opposizione totale e antisistema. Anzi, dopo le elezioni politiche, probabilmente a marzo, «saremo la prima forza politica del Paese e chiederemo l’incarico di governo». Non solo. Se i cinquestelle non avranno la maggioranza in Parlamento per governare da soli allora «governeremo con chi ci sta». Addirittura sarebbe pronto a formare un governo con la sinistra di Pietro Grasso e con il Pd, ma senza Matteo Renzi. Addio alla “purezza”, alla scelta intransigente di non stipulare alleanze con nessuno.
Stabilità, stabilità, stabilità. La rotta è decisa: «Daremo un governo a questo Paese, gli permetteremo la stabilità». Luigi di Maio dai primi giorni di settembre, quando andò al seminario di Cernobbio nel quale discutono ogni anno i grandi banchieri e i grandi imprenditori italiani ed internazionali, ha rotto molti tabù dei cinquestelle portati al trionfo elettorale da Beppe Grillo. Il M5S dei “vaffa…” alle elite nazionali ed europee fondato dal comico genovese sembrava aver cambiato pelle. Sembravano svanite le battaglie per il referendum contro l’euro e contro i sacrifici imposti ai lavoratori e ai pensionati dai partiti tradizionali, di destra e di sinistra, colpevoli di “golpe” e di “golpetti”.
Di Maio da tre mesi ha smesso i panni dei pentastellati populisti e anti sistema per indossare quelli riformisti e di governo. Da settembre, da quando è stato eletto dal M5S candidato presidente del consiglio al voto politico e capo del Movimento, ha cercato di non mettere più paura, di essere rassicurante, di intercettare anche gli elettori più moderati del ceto medio rilanciando il motto della “stabilità”. Anzi, di più. Si è intestato la titolarità di quella parola magica tradita, a suo dire, dai partiti tradizionali: «Il M5S sarà garante della stabilità contro il caos». Il candidato premier cinquestelle si è impadronito del termine stabilità, la bussola sempre usata dai tradizionali partiti di governo per rassicurare gli elettori: dalla Dc nella Prima Repubblica al Pd nella Seconda Repubblica.
Ma poi qualcosa si deve essere rotto. Il vice presidente della Camera, è tornato ad usare anche i toni radicali e populisti del grillismo di un tempo. Prima è avvenuto sullo scivoloso tema pensioni: «Vogliamo tornare all’età pensionabile che c’era prima della legge Fornero». Come realizzare il miracolo? La risposta al giornalista del Gr Rai forse è stata un po’ avventata: attingendo le risorse in particolare «dalle pensioni d’oro che oggi ci costano 12 miliardi di euro». È scoppiato un putiferio. Matteo Renzi ne ha subito approfittato definendo “una follia” la proposta. Il segretario del Pd ha fatto i conti: risparmiare 12 miliardi significava colpire i pensionati fino a circa 2.300 euro al mese, pensioni non certo d’oro. Di Maio ha subito ridimensionato l’idea collocando le “pensioni d’oro” da colpire a 5 mila euro al mese e rinviando i tagli annunciati di 12 miliardi da effettuare non in un anno ma in più anni.
Poi la ventata populista è tornata a soffiare sulla Ue e, in particolare, sull’euro. Di Maio ha scandito a La7: se si dovesse arrivare al referendum sull’euro «è chiaro che io voterei per l’uscita».
Di Maio ondeggia, un po’ qui e un po’ lì. Forse il candidato premier cinquestelle era andato troppo avanti. Forse ha temuto, o il tandem Grillo-Casaleggio gli ha fatto temere, di adottare una campagna elettorale sbagliata, troppo governativa, troppo lontana dalla protesta viscerale coltivata da vasti strati della popolazione italiana, ceti popolari e borghesi, contro l’establishment. Forse temendo di perdere i voti dei cittadini più “arrabbiati”, di opposizione radicale, ha un po’ rettificato l’impostazione revisionista degli ultimi mesi. La strategia governativa però resta.
Un po’ qui e un po’ lì. Un fatto è sicuro: il motto “stabilità” è stato in parte offuscato e in particolare ha ripreso a picchiare duro sul fronte previdenziale ed europeo (dove si possono mietere molti voti). Un secondo fatto è altrettanto sicuro: Beppe Grillo e Davide Casaleggio, i due grandi piloti del M5S, da qualche tempo tacciono, non si fanno sentire. Un terzo fatto è sicuro e incontrovertibile: Di Maio ondeggia un po’ qui e un po’ lì, è un po’ governativo e un po’ anti sistema.