È paradossale: a sette giorni dalla fine della legislatura il piano sociale regionale del Lazio non è ancora approvato. Da molti mesi il piano sociale approvato dalla giunta giace nella competente commissione che lo doveva discutere. In passato nella stessa commissione si è assistito al palleggio per anni di importantissimi provvedimenti sociali; spesso si è perso tanto tempo al punto che più volte le organizzazioni sindacali hanno dovuto mobilitare i propri iscritti per manifestazioni di fronte alla sede del Consiglio regionale in via della Pisana.
È il caso, ad esempio, del provvedimento relativo ai servizi integrati, recepito poi, alla fine, nella legge n. 11/2016 (“Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio”).
Il piano sociale regionale doveva essere fatto in attuazione della legge nazionale 328/2000, ma è stato deliberato dalla giunta regionale ben dopo 16 anni da quella legge. Rispetto ad altre regioni è un ingiustificabile record negativo che va rimproverato, a pari demerito, ai diversi governi regionali che si sono succeduti nel Lazio.
L’assessore regionale ai Servizi sociali Rita Visini è riuscita a definire, dopo confronti con le parti sociali e le organizzazioni sindacali e dopo diversi momenti di ascolto nei territori, il piano sociale che è stato quindi approvato dalla giunta.
Un provvedimento, il piano sociale, sul quale complessivamente vi è stato un percorso partecipato, un giudizio complessivamente positivo dei diversi stakeholders, un impianto che, armonizzandone le disposizioni, rispetta quanto richiesto dalla legge 328/2000.
Il fatto che il provvedimento sia entrato nella competente commissione consiliare e lì da mesi sia stato lasciato su un binario morto è una scelta incomprensibile. Con il passare del tempo le sollecitazioni ad approvarlo sono state fatte da più parti senza esito.
Siamo entrati nel 18° anno dalla emanazione della L. 328/2000 ma la regione Lazio non ha ancora il suo piano sociale. Senza di esso anche molti propositi di welfare generativo, di comunità ecc. ecc., di cui pure è bene si parli e che andrebbero avviati con idonee sperimentazioni (per il Lazio), corrono il rischio di essere una colossale delega ai singoli e alle famiglie.
Insomma un’anticamera del noto “fai da te” in versione “secondo millennio”.
I cittadini della regione Lazio hanno necessità di servizi sociali pubblici, di servizi accreditati e di reti qualificate e di volontariato, capitale sociale territoriale che tale è se esiste una governance forte regionale, che si dota del piano sociale regionale, e di una governance nei territori che quelle reti valorizzi, mettendo il meglio a fattore comune dentro gli ambiti territoriali ottimali, a partire da quelli voluti dalla legge 328/2000.
Sull’assenza del piano sociale si è aperto un problema di credibilità politica della maggioranza che governa la regione Lazio e si può aprire un serio rapporto di fiducia fra istituzioni e cittadini che da tempo sta venendo meno.
Al vecchio piano socio/assistenziale a ragione non rinnovato da anni, doveva far seguito il piano sociale. Così non è stato. Così in molti anni lo strumento di programmazione dei servizi sociali vero e proprio non c’è stato.
Se il piano sociale non viene approvato nei prossimi giorni tutto corre il rischio di essere vanificato e si dovrà ripartire da zero, dopo le elezioni del 4 marzo.
L’ultima data utile per approvare il piano in consiglio regionale del Lazio, prima della fine della legislatura, è il 17 gennaio. Una lettera- appello è stata indirizzata alla regione Lazio da diverse parti sociali e dalla segreteria della CGIL di Roma e del Lazio. Tra i firmatari dell’appello c’è la presidente del CEntro Servizi per il Volontariato del Lazio (Cesv in sigla) Francesca Danese. L’ex assessore alle politiche sociali del Comune di Roma commenta: «Non vorrei che per diatribe elettorali a rimetterci siano i cittadini del Lazio».
È incomprensibile che la stessa maggioranza della quale è espressione la giunta non porti all’approvazione finale un piano sociale meritoriamente voluto dall’assessore Visini dopo un confronto di merito con sindacati e parti sociali. Se il piano sociale non verrà approvato qualcuno dovrà spiegarne le ragioni agli elettori.