Sono passati 18 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, ma poco è cambiato. La sua damnatio memoriae continua ad aleggiare sul nostro Paese. Certo, la storiografia ha iniziato a smontare pezzo per pezzo buona parte delle infamanti accuse che lo hanno coinvolto, ma la maggioranza degli italiani lo ritiene ancora un “ladro”.
La vulgata di Tangentopoli, insomma, la fa da padrona. L’importante vicenda del Psi craxiano rimane così in ombra, schiacciata da una condanna morale retrospettiva, che si impone su tutta la sua parabola politica. Ignorandone i non pochi meriti storici: il superamento culturale del marxismo-leninismo, la tematizzazione della Grande Riforma delle istituzioni e l’attività di governo.
Dopo la svolta del Midas, con la quale Craxi divenne segretario, il Psi intraprese una coraggiosa politica culturale volta a mettere in discussione i pilastri del marxismo-leninismo che alimentavano ancora l’ideologia del Pci. Affiancato dagli intellettuali di «Mondoperaio», il neosegretario vinse la battaglia politico-culturale contro i compagni comunisti. Mentre il Pci si richiamava a Marx e Lenin, il Psi approdava stabilmente alla socialdemocrazia, mandando in soffitta tutti i vecchiumi ideologici che innervavano la sinistra italiana. Un rinnovamento decisivo, riconosciuto solo a posteriori da coloro che si definiscono i figli di Berlinguer, ma che, a ben vedere, dovrebbero dirsi figli di Craxi…
L’approdo socialdemocratico dei socialisti permetteva al leader del Psi, sostenuto acutamente da Giuliano Amato, di porre i temi della governabilità e della stabilità. Attraverso la Grande Riforma il leader del Psi proponeva un insieme di provvedimenti per modernizzare il Paese. Il rafforzamento dell’esecutivo, il superamento del bicameralismo perfetto, e il semipresidenzialismo diventavano centrali nel dibattito politico italiano.
Per quanto riguarda il governo, l’esecutivo guidato da Craxi fu il più duraturo della storia della Prima Repubblica, e non senza risultati. La revisione del Concordato, il referendum sulla scala mobile, un’importante crescita economica e l’episodio di Sigonella (applaudito anche dai comunisti) non possono essere passati sotto silenzio.
Con il 1987 la carriera politica di Craxi iniziò la sua fase regressiva. Sia perché il Psi non ottenne lo sfondamento elettorale auspicato, che gli avrebbe consentito di trattare in modo diverso con gli alleati di governo, sia perché il segretario di Via del Corso rimase irretito dal patto di potere stipulato con la Dc. La spinta modernizzatrice e riformista si andava esaurendo, mentre si aggravava la crisi del partito, a causa della sottovalutazione della questione morale e della mancata autoriforma.
Ma l’errore più grave fu la scelta astensionista nel referendum sulla preferenza unica del 1991, che si era trasformato in una sorta di referendum sulla partitocrazia. L’opposizione frontale a questa consultazione fu fatale, perché portò l’opinione pubblica ad identificare Craxi con il sistema partitico ormai degenerato.
Gli eventi del 1992-1993 sono noti. Certo, Craxi commise tanti errori, a partire dalla pratica del finanziamento illecito di cui divenne assoluto protagonista per contrastare lo strapotere finanziario di Dc e Pci: la prima si alimentava da tutto l’insieme delle industrie di Stato, il secondo era foraggiato abbondantemente dai rubli sovietici, e dal sistema delle cooperative.
Nonostante la sistematicità e la notorietà di queste forme di finanziamento, Craxi fu letteralmente massacrato dal circuito mediatico-giudiziario guidato dai postcomunisti che strumentalizzarono la questione morale trasformandola in puro giustizialismo. Forti dell’amnistia sul finanziamento illecito ai partiti approvata nel 1989, gli eredi di Berlinguer divennero i grandi moralizzatori della politica italiana, dimenticando che le loro tasche erano state riempite da un’immensa quantità di rubli e da molteplici contributi illeciti.
In questo processo di stampo giacobino, i militanti pidiessini arrivarono addirittura al linciaggio. In seguito all’aggressione subita nei pressi dell’Hotel Raphaël, il leader del Psi preparava il suo esilio, mentre la sua memoria veniva infangata in un processo di falsa moralizzazione che si sarebbe parzialmente interrotto solo dopo la sua morte.