Algoritmo è una parola misteriosa. Fino a poco tempo fa era un termine solo per matematici, per addetti ai lavori nelle università e negli istituti di ricerca. Il dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e di Gian Carlo Oli, dato alle stampe nel 1996, dà questa definizione di algoritmo: «Qualsiasi schema a procedimento sistematico di calcolo». Il termine, precisa il vocabolario della Treccani, deriva dal latino medievale, algorithmus o algorismus che storpiò il nome di origine al-Khuwārizmī, del matematico persiano Muḥammad ibn Mūsa del IX secolo dopo Cristo.
La definizione del Devoto-Oli, uno dei migliori dizionari d’italiano, risale però a 22 anni fa, è un po’ superata dalle innovazioni tecnologiche e dalle relative applicazioni industriali. Da quando è scoppiata la rivoluzione digitale, l’informatica ha trasformato l’algoritmo in una pericolosa parola magica, applicabile ad ogni attività umana in nome dell’efficienza e del profitto.
L’algoritmo è utilizzato soprattutto dalle grandi aziende, dai gruppi multinazionali, dalle banche. È diretto a tagliare i tempi della produzione, a massimizzare gli utili e a ridurre i posti di lavoro. Le applicazioni sono una infinità: possono suggerirci cosa comprare online, come organizzare i turni di lavoro in una fabbrica o in un grande magazzino, chattare con i passeggeri inferociti per la cancellazione di un volo. Non solo. L’intelligenza artificiale può decidere se e dove investire, chi e in quale paese assumere o licenziare. Formula programmi e previsioni finanziarie: sceglie i fondi comuni e i titoli azionari da comprare o da vendere nelle Borse di tutto il mondo.
Ogni giorno spunta una sorprendente novità informatica. Un nuovo algoritmo applicato ai contatori dell’energia elettrica permetterà agli utenti di conoscere i consumi in tempi reali e di poterli programmare risparmiando così sulla bolletta. Un altro algoritmo in arrivo permetterà di ricostruire e riparare le immagini in formato digitale senza sforzi.
La “mano invisibile” dei calcoli matematici va fortissimo soprattutto su internet e sui social network. Giorgio, un mio amico e collega giornalista, obietta quando mi lamento, scrivo e protesto contro lo strapotere e l’incontrollato dominio con il quale Facebook amministra l’accesso e l’attività degli utenti sull’enorme social network: «Ma perché ti arrabbi? Con chi protesti? Decide tutto un algoritmo!». La mia replica è semplice: «Ci sarà un essere umano che ha scelto perché e come installare l’algoritmo! Bene, critico i responsabili della ‘dittatura’ dei codici di calcolo».
La ‘dittatura oscura’ dell’algoritmo è potentissima. Da alcuni anni i codici di calcolo vengono addirittura usati per scrivere articoli al posto dei giornalisti. Facebook ha preferito gli algoritmi ai giornalisti. I risultati sono stati fallimentari. Un caso clamoroso sono state le false notizie veicolate da Facebook che hanno permesso, per pochi voti, la vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton nella sfida per la presidenza degli Stati Uniti d’America. Mark Zuckerberg, l’amministratore delegato di Facebook, prima ha negato, poi ha deriso la possibilità che le “fake news” sul suo social abbiano avuto un ruolo nella vittoria di Trump, poi ha ammesso il problema.
Per la qualità e la credibilità dell’informazione è un dramma. Anche le grandi agenzie di stampa internazionali hanno cominciato ad utilizzare i codici di calcolo al posto dei giornalisti. Dal 2014 l’Associated Press ha iniziato ad automatizzare completamente la sua produzione di articoli sui risultati economici delle aziende; gli algoritmi che scrivono automaticamente notizie a partire da dati strutturati hanno scosso l’industria delle news. Il cosiddetto “giornalismo automatizzato” da molti è considerato preferibile, in quanto ai risultati, ai giornalisti. Una tesi peregrina. Un algoritmo sa valutare se una notizia è vera o falsa, se un devastante terremoto in Indonesia con migliaia di morti è più importante dell’elezione di miss America? I codici di calcolo, valutando i giudizi nella Rete, probabilmente darebbero più importanza alla prima bellezza americana che al sisma avvenuto nell’Estremo Oriente.
Adesso anche la frontiera delle previsioni e delle simulazioni elettorali è conquistata dall’algoritmo. Un codice di calcolo di YouTrend, elaborato per La Stampa, dà la vittoria al centro-destra di Silvio Berlusconi nelle elezioni politiche del 4 marzo. L’algoritmo manda a casa studiosi, ricercatori ed esperti di sistemi elettorali e sentenzia: con il Rosatellum (la nuova legge elettorale per un terzo maggioritaria e per due terzi proporzionale) l’alleanza Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia farà man bassa di seggi soprattutto nel nord Italia e farà buoni risultati nelle altre regioni, battendo il centro-sinistra di Matteo Renzi, la sinistra di Pietro Grasso e il M5S di Luigi Di Maio.
Vero, falso? Staremo a vedere. Un fatto è sicuro: occorre grande attenzione davanti alla ‘dittatura oscura’ dell’algoritmo. Nel settembre 2015 il senatore leghista Roberto Calderoli condusse una durissima battaglia ostruzionistica contro la riforma costituzionale del governo Renzi. Pur di bloccarla presentò ben 85 milioni di emendamenti affidandosi a uno specifico codice di calcolo. Erano talmente tanti che fu perfino impossibile stamparli tutti secondo la prassi. Precisò lasciando tutti a bocca aperta: dietro gli 85 milioni di emendamenti c’è un algoritmo che «introduce una quarta dimensione che, a seconda dell’inclinazione dell’asse, può produrre emendamenti all’infinito».
Ma non finì bene per nessuno. Calderoli e le opposizioni furono battute perché il presidente del Senato Grasso applicò il cosiddetto “canguro”: il vecchio meccanismo anti ostruzionismo del Parlamento cancellò quasi tutti gli emendamenti di Calderoli perché ripetitivi o simili. La Riforma costituzionale fu approvata sia dal Senato sia dalla Camera, ma non andò bene per Renzi perché fu poi bocciata nel referendum votato il 4 dicembre 2016.
Realtà e fantascienza si rincorrono. Il professor Con Slobodchikoff della Northern Arizona University raccoglie e studia migliaia di video di cani che abbaiano e ringhiano. Il progetto è di costruire un algoritmo capace di tradurre in simultanea i latrati in inglese. L’obiettivo è di poter addirittura far parlare gli uomini con i cani entro dieci anni.