Se un cittadino di Roma vuole ristrutturare o vendere casa, deve sapere se lo stato di fatto del suo appartamento è “conforme” a quello che risulta in Comune. Ossia ai vari permessi rilasciati negli anni. Una volta bastava fare la visura catastale, ma dal 2010 senza “conformità urbanistica” non si può né vendere né ristrutturare. Il problema è che per ottenere il cosiddetto “accesso agli atti”, insomma per andare a vedere che cosa c’è nel fascicolo custodito in municipio, bisogna fare una domanda scritta e aspettare. Tra la richiesta e “l’accesso” passano 30/40 giorni. Te lo dicono appena vai a presentare la domanda. Se poi di mezzo c’è qualche festività, si può arrivare tranquillamente a due mesi. Sessanta giorni in cui non puoi fare niente, perché non sai se è tutto in regola.
A me è andata anche peggio. Sono incappato nelle festività natalizie. L’altro giorno il geometra, che avevo incaricato di effettuare l’accesso alla mia pratica, mi ha inviato questo messaggio: «Appena comunicato che avrò in visione il suo fascicolo fra 25 giorni». Ho guardato l’agenda e ho scoperto che nel mio caso l’accesso agli atti avverrà 63 giorni dopo la richiesta.
Non so quanto tempo ci vuole a Nuova Delhi per una pratica simile o per un certificato che non sia di routine. Ma so per certo che una situazione come quella romana non ha uguali in Europa. Anche in questo caso parlo per esperienza personale. Siccome sono residente temporaneo in Portogallo, se ho bisogno di un documento, mettiamo un certificato di residenza, non posso più chiederlo a Roma. Devo farlo a Lisbona e affidarlo a un consulente che provvede a farlo tradurre in italiano da un interprete autorizzato e poi lo porta a timbrare in consolato. Finchè si tratta di certificati normali li chiedi e li ottieni in pochi minuti negli uffici competenti portoghesi, ma quando in Italia vogliono una “scartoffia” che qui non è prevista allora la situazione si complica.
Ed eccoci al dunque. Devo consegnare uno “stato di famiglia”, insomma quel certificato con tutti i familiari che vivono sotto il tuo stesso tetto. Sono andato nel municipio del quartiere dove abito, a Lisbona, e mi hanno detto che nella loro normativa questo tipo di certificato non c’è. Ho pensato all’accesso agli atti di casa mia a Roma, a quello che verrà dopo, quando dovrò chiedere una Dia in sanatoria che dipenderà dall’interpretazione di un funzionario, e mi sono cadute le braccia.
Terrorizzato di fronte alla prospettiva di finire in un altro labirinto, questa volta a Lisbona, ho chiesto timidamente come si poteva risolvere il problema. L’impiegata portoghese mi ha sorriso e mi ha detto che la “Junta de Freguesia”, cioè il municipio di quartiere, poteva però rilasciarmi un “atestado”, un documento con sopra scritto che «in seguito alle informazioni raccolte si attestava che il signor…. risiede in via… e che nel suo appartamento abita con….».
Ho tirato un sospiro di sollievo ma poi ho capito che non doveva essere così semplice. Perché bisognava raccogliere le “informazioni” relative ai miei conviventi. Dovevo aspettare la relazione della polizia municipale? E quanti giorni ci volevano?
«Non c’è problema» mi ha spiegato ancora l’impiegata. «Basta che lei venga qui con due testimoni». Ho guardato l’orologio. L’ufficio chiudeva al pubblico entro 40 minuti. La scartoffia mi serviva subito ed entro mezz’ora dovevo trovare due testimoni disposti a venire con me in quell’ufficio per la testimonianza. L’impiegata ha capito e mi è venuta nuovamente in soccorso: «Se lei trova due testimoni con partita Iva non è necessario che vengano qui. Adesso prendo un modulo, glielo compilo, e i suoi testimoni dovranno solo mettere nome, cognome, firma e il timbro con il numero della partita Iva. Basta che lei me lo riporti entro mezzora».
Ho afferrato il pezzo di carta e sono uscito di corsa. Ho trovato un dentista e un libraio che conoscevo, ho fatto firmare il modulo e sono tornato (sempre di corsa) nell’ufficio della “Junta de Freguesia” che stava per chiudere. L’impiegata ha messo un timbro e mi ha detto: «Sono 4 euro. Adesso preparo l’attestato per la firma. Può passare a ritirarlo domani mattina». Volevo morire. Avevo fatto tutta quella corsa per nulla. L’impiegata ha capito e mi ha detto: «Se ne ha bisogno subito, deve pagare altri 4 euro per l’urgenza. Glielo faccio avere fra pochi minuti». Dieci minuti dopo l’”atestado” con tanto di timbro della “Freguesia” e firma del responsabile era nelle mie mani. Sono uscito dalla “Freguesia” e ho pensato che a Roma, solo per accedere al fascicolo comunale di casa mia dovrò aspettare altri venti giorni…