Grande spazio sui quotidiani del 9 febbraio alla diminuzione delle nascite. Titoloni in prima e all’interno pagine su pagine, con grafici e tabelle sull’andamento demografico registrato dall’Istat nel 2017: 464 mila nascite in tutta Italia, con un calo del due per cento rispetto all’anno precedente. Nono calo consecutivo e nuovo minimo storico.
E non è tutto. Ormai i nuovi immigrati non bastano a compensare i decessi: il saldo negativo è di circa duecentomila abitanti e la popolazione diventa sempre più vecchia.
Si tratta di un problema enorme. Un trend del genere condanna il Paese a un lento e inesorabile declino. La cosa incredibile è che i partiti politici (tutti) ignorano la questione. Impegnati in una furibonda battaglia elettorale (a colpi di tweet, insulti e promesse) per strappare qualche voto in più alle politiche del 4 marzo, non si occupano di una questione vitale come il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione italiana.
Quanto ai giornali, si limitano a riprendere le notizie dell’Istat sul nuovo minimo storico. Al massimo accompagnando indici e tabelle con qualche intervista di maniera sul calo di fecondità delle donne italiane. Nessuno che chieda alla politica di tornare a fare il proprio mestiere. Ai partiti impegnati nella contesa elettorale per il prossimo Parlamento di inserire nei loro programmi proposte e progetti di legge per far risalire le nascite.
Altro che calo della fecondità! Per capire come stanno veramente le cose, basterebbe leggere con un minimo di attenzione i dati dell’Istat: le regioni dove gli italiani continuano a fare figli sono di solito quelle più ricche: Lombardia, Emilia Romagna, provincia di Bolzano. Non è un caso. Significa semplicemente che la causa prima del calo delle nascite è economica. Fare figli costa troppo e molte famiglie non se lo possono più permettere.
Mandare un bambino a un nido comunale può costare anche 500 euro al mese. Per uno privato si può arrivare a 700. L’Ise, l’Indicatore di Situazione Economica, che dovrebbe consentire alle famiglie di pagare i servizi pubblici in base al proprio reddito, funziona poco e male. Nel calcolo va inserita perfino la casa in cui si vive, se risulta di proprietà. Come se l’abitazione principale costituisse reddito. Conosco un giovane tecnico Rai che guadagna poco più di 1.200 euro netti al mese e con lo stipendio della moglie non raggiunge i 2.500. Ma ha una piccola casa di proprietà e per mandare due bambini al nido deve spenderne mille.
Il problema non è nuovo. C’è qualche partito che abbia deciso di occuparsene seriamente? No. Solo il Pd renziano ha fatto qualcosa, distribuendo qualche euro per i pannolini. Ma il bonus bebè è una mancia. La politica è un’altra cosa.
Per esempio quella della Germania e del “modello renano”, dove i sindacati sono presenti nei consigli di amministrazione e partecipano attivamente alla gestione delle imprese. Una cogestione che proprio in coincidenza del nuovo governo di centrosinistra (la grosse koalition) ha appena portato a uno storico accordo sindacale: la riduzione della settimana lavorativa a 28 ore. Su base volontaria e per un massimo di due anni, certo. Ma si tratta di una misura che mantiene alto il livello dell’occupazione e nello stesso tempo permette di dedicare più tempo alla famiglia.
A ben guardare, potrebbe quindi funzionare contro il calo delle nascite che desta preoccupazione anche in Germania. La differenza con l’Italia è che i tedeschi non si sono limitati a registrare il fenomeno, ma hanno deciso d’intervenire. Con la “politica”, appunto.