L’oleato monolitismo del M5S si è ingrippato. L’escalation degli ultimi giorni è tumultuosa: i massoni nelle liste elettorali a dispetto delle regole, la mancata autoriduzione degli stipendi di una decina di parlamentari con espulsioni e sanzioni, le proteste dei candidati esclusi dalle elezioni politiche del 4 marzo; poi il clamoroso “pentimento” di David Borrelli e di Massimo Colomban, due uomini chiave dei passati trionfi pentastellati.
Se ne sono dette di tutti i colori. Quasi in perfetta sincronia Borrelli e Colomban, imprenditori autodidatti, hanno rotto con il Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il primo ha smentito su Facebook il 14 febbraio il suo addio per “motivi di salute” annunciato da una nota stampa dell’eurogruppo del M5S: «Non ho problemi di salute e non ne ho mai accennato». L’eurodeputato, che a Bruxelles ora aderirà al Gruppo misto, ha comunicato un progetto piuttosto minaccioso per il M5S: fonderà «un movimento, che nascerà a breve, e che si occuperà proprio di imprenditori e di risparmiatori». Nessuna motivazione sulle ragioni del divorzio dopo 13 anni di militanza e sul perché intende costruire un nuovo partito. La perdita è grave. L’ex cocapogruppo cinquestelle al Parlamento europeo, esperto d’informatica, aveva diversi incarichi delicati: in particolare era un uomo chiave nella gestione della piattaforma Rousseau, lo strumento digitale caro a Davide Casaleggio per la diffusione capillare del Movimento.
Colomban, invece, non parla di dare vita a un nuovo partito, ha rotto i ponti con i cinquestelle ed incolpa Grillo. Il 15 febbraio, in una intervista al Corriere della Sera, ha accusato il carismatico comico genovese: «Vuole ridurre l’Italia come il Venezuela». Il parallelo è pesante: il paese sudamericano, un tempo lontano ricco e democratico, da anni è sprofondato nella povertà e nel caos, in particolare dopo il regime in stile di comunismo castrista di Hugo Chàvez. L’imprenditore veneto con alle spalle grandi successi internazionali va giù duro con Grillo: «Adatta il socialismo reale al terzo millennio», pensa che lo sviluppo «sia un pericolo». È il secondo e definitivo strappo di Colomban: due anni fa era stato chiamato ad aiutare la sindaca Virginia Raggi «con l’intesa che poi avrei scritto il programma di riforme per l’Italia». Ma tutto finì male. Nel settembre 2016 era diventato assessore alle Partecipate della giunta grillina di Roma con il compito di risanare le disastrate aziende capitoline; ma appena un anno dopo, nell’ottobre 2017, si era dimesso polemizzando con Virginia Raggi.
Borrelli e Colomban hanno molti punti di contatto, sono quasi gemelli: tutti e due veneti, entrambi imprenditori di prima generazione di estrazione popolare, ugualmente affascinati dalla Lega Nord di Umberto Bossi, due uomini determinanti per l’affermazione del M5S tra gli imprenditori. Sia il primo sia il secondo, in grande sintonia e confidenza con Gianroberto Casaleggio, sono stati gli artefici del successo dei grillini tra i piccoli e medi imprenditori del Nor est. In particolare hanno costruito lo “sfondamento” dei pentastellati tra gli imprenditori della Confapri, l’associazione dei piccoli e medi imprenditori veneti fondata da Colomban e Arturo Artom nel 2012.
Poi qualcosa si è spezzato sia con Davide Casaleggio, il figlio di Gianroberto, sia con Beppe Grillo. Davide è subentrato al padre sia alla guida dell’azienda informatica di famiglia sia sul ponte di comando del M5S assieme a Grillo. Sia Casaleggio sia Grillo non parlano delle due importanti rotture, ma dall’interno del vertice del M5S emerge una motivazione poco aulica sull’abbandono di Borrelli: l’imprenditore informatico avrebbe voluto una deroga al tetto dei due mandati da deputato europeo ma l’obiettivo di ottenere una terza candidatura sarebbe fallito.
I malumori e i contrasti tra i cinquestelle sono sempre più forti, rischiano di diventare esplosivi. Solo dopo il 4 marzo, giorno del voto politico, si saprà come andrà a finire. Un dato è sicuro: l’uscita del tandem Borrelli-Colomban, due uomini chiave nella macchina dei cinquestelle, è una frattura difficilmente sanabile che potrebbe anche portare a un M5S bis di sapore imprenditorial-leghista.
In questi anni i cinquestelle sono stati capaci di superare momenti difficili come il divorzio con lo stimato sindaco di Parma Federico Pizzarotti e come l’esodo di oltre 30 parlamentari nella legislatura appena terminata. Però finora è stata evitata la disgregazione. Anzi, nonostante tutto il M5S regge bene a tutte le difficoltà: venerdì 16 febbraio, ultimo giorno dei sondaggi elettorali pubblici prima delle elezioni, il M5S era virtualmente sempre il primo partito italiano, viaggiava attorno al 28% dei voti.