Esistono i curdi, ma non il Kurdistan. I curdi non hanno mai avuto una patria, uno stato. Sono 30-40 milioni, vivono in Medio Oriente smembrati tra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Armenia. Quando cadde l’Impero ottomano dopo la Prima guerra mondiale, Regno Unito e Francia promisero l’indipendenza, ma poi le potenze coloniali europee non mantennero la promessa.
Sono un po’ come i polacchi in Europa. La Polonia restò schiacciata e divisa tra l’Impero Austro-ungarico, il regno di Prussia (poi Secondo Reich tedesco) e l’Impero russo, però alla fine è riuscita a recuperare l’unità e l’indipendenza. I curdi, invece, vivono sparpagliati tra cinque diverse nazioni, hanno subito e subiscono violente e sanguinose repressioni. In genere sono considerati dei cittadini di serie B, delle minoranze bistrattate alle quali si arriva a proibire perfino l’uso della propria lingua.
È stroncato nel sangue ogni tentativo di autonomia nazionale. Dal 20 gennaio l’esercito turco è penetrato nel nord della Siria con l’operazione “Ramoscello d’ulivo” (l’azione militare suona ancora più sinistra per la denominazione usata, un simbolo per eccellenza della pace). L’obiettivo è conquistare ed eliminare il cantone curdo di Afrin, amministrato autonomamente dal 2012 al di fuori dell’influenza del governo siriano, sull’orlo del collasso.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan usa il pugno di ferro: Ankara non si fermerà finché «il lavoro non sarà finito». Artiglierie e carri armati turchi spianano l’avanzata della fanteria. Nel mirino ci sono le Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) che amministrano la provincia. L’obiettivo è di impedire che l’esercito siriano, d’intesa con i curdi, rientri ad Afrin, recuperi la sovranità sulla città salvando però l’autonomia amministrativa della minoranza e il suo potere negoziale. Erdoğan ha annunciato: «Nei prossimi giorni, e molto rapidamente, inizierà l’assedio del centro della città di Afrin».
Le alleanze cambiano velocemente in Medio Oriente. Il presidente turco prima era stato un nemico giurato del presidente siriano Bashar al-Assad, poi era diventato suo alleato, ora addirittura spara sia sui suoi combattenti sia su quelli dei curdi. L’accordo Ankara-Mosca-Teheran sulla Siria sta scricchiolando paurosamente. La prima ha puntato le armi contro Damasco, le altre due sono potenti alleati di Bashar al-Assad, che sta riprendendo il controllo del paese dopo la rivolta del 2011 e le successive feroci guerre a catena: in totale 500 mila morti e 6 milioni di profughi. Il presidente turco ha nelle sue mani anche la carta della “bomba” degli emigranti: nei campi profughi ospita oltre 3 milioni di rifugiati siriani, scappati in 7 anni di guerra, e di volta in volta minaccia di aprire il “rubinetto” verso l’Europa. Non a caso ha chiesto all’Unione europea e in gran parte ottenuto, soprattutto appoggiato dalla Germania, 6 miliardi di euro per affrontare le spese di ospitalità dei profughi.
I curdi, sostenuti finanziariamente e militarmente dagli Stati Uniti, sono stati un elemento centrale per sconfiggere lo Stato Islamico, promotore del terrorismo internazionale, che si era impossessato di buona parte della Siria e dell’Iraq con i relativi giacimenti petroliferi. I combattenti curdi hanno pagato un alto prezzo di sangue per conquistare Raqqa in Siria, proclamata capitale dell’Isis. Un prezzo di sangue molto più consistente rispetto a quello pagato dalle milizie e dagli eserciti siriani, iracheni, iraniani, russi e statunitensi. Comunque gli jihadisti dell’Isis ancora non sono stati del tutto sconfitti e resistono in alcune zone del paese.
Erdoğan teme il “contagio” dell’autonomia conquistata dai curdi in Siria. In Turchia vive la maggior parte dei curdi e, dopo qualche anno di convivenza pacifica e di apertura ai loro diritti, è riesplosa una violenta repressione. I curdi, considerati terroristi, hanno reagito con sanguinosi attentati nelle città turche. Di qui la “guerra totale”.
Ora Washington ha davanti uno spinoso problema: se schierarsi con i curdi o con la Turchia, due importanti alleati (Ankara fa anche parte della Nato e dispone di uno degli eserciti più potenti). Per adesso sta tentando di tenere una posizione mediana. I margini per l’indipendenza o per l’autonomia dei curdi si restringono sempre di più. Il Kurdistan probabilmente resterà «una espressione geografica». La celebre profezia del principe austriaco Klemens von Metternich si rivelò sbagliata per l’Italia, ma potrebbe calzare a pennello per i curdi.