Sudore, strade, primati. Luigi Canali, giornalista onnivoro, scrive di biciclette, campioni, passioni. Nel libro Il ciclismo epico nell’Italia che vola – Il Giro d’Italia dalla miseria al boom economico, RiStampa Edizioni, 18 euro, narra la storia e le vicende del Giro d’Italia dal 1909 al 1960.
Contemporaneamente, attraverso il ciclismo, scandisce in parallelo 51 anni di storia politica del Paese: dall’era giolittiana al fascismo, dalla monarchia alla repubblica, dall’epoca dei notabili liberali a quella del centrismo democristiano in crisi. Accanto alle imprese dei campioni del ciclismo ci sono le lotte operaie e della sinistra contro le ingiustizie represse nel sangue, il passaggio dell’Italia agricola e povera a quella del boom economico ed industriale.
Sono anni complessi, drammatici e infine di crescita e di progresso economico e democratico, fino quasi alla faticosa apertura della Dc al centro-sinistra con il Psi. Le sfide e la solidarietà tra Fausto Coppi e Gino Bartali, in un’Italia distrutta dopo la Seconda guerra mondiale, hanno segnato un’epoca nel ciclismo e in una società che tenacemente risaliva la china.
Canali riporta aneddoti, ricorda i personaggi e i ciclisti della Corsa Rosa: le storie dei campioni e le imprese di quel ciclismo epico che ci ha accompagnato fino agli anni Sessanta con campioni come Bartali, Coppi, Magni, Binda, Girardengo. L’autore racconta: «Il primo Giro d’Italia dopo la pausa bellica è l’anno in cui sono nato, poco più di un mese prima della partenza della Corsa Rosa. In quell’edizione fu Gino Bartali a tagliare per primo il traguardo, secondo Fausto Coppi… Certo non ricordo e non posso ricordare nulla, ma chissà che questa coincidenza non possa rappresentare il segno di una passione che è poi esplosa improvvisa nell’età adulta». Sport, politica, cultura sono legati. L’autore vede strette connessioni: «Sono convinto che proprio grazie al ciclismo sia iniziata, nei primi anni del ‘900, quell’unificazione dell’Italia che, negli anni successivi, grazie alla nascita della televisione, ha raggiunto il massimo dell’integrazione possibile, anche se raramente, in quegli anni, il Giro si è spinto oltre Napoli e Bari. In questo connubio, ciclismo/Paese ci sono probabilmente le ragioni che mi hanno spinto ad unire lo sport alla storia della nostra Italia».
È lo scenario di un ciclismo “epico”, con atleti forti solo delle proprie gambe che inforcano le due ruote quasi per sola necessità. Sono le due facce di una stessa medaglia, due mondi che si incontrano e si parlano lungo strade sterrate e ripiene di fango, ma è la stessa Italia quella che assieme tentano di costruire.
Renato Di Rocco, nella prefazione al libro, rammenta l’enorme importanza che ebbe la bicicletta: «Allora il ciclismo era, insieme e forse più del calcio, lo sport nazional popolare per eccellenza». Il presidente delle Federazione ciclistica italiana ricorda: «Il dualismo tra Coppi e Bartali raggiunse le vette più alte ed era oggetto di discussione nei bar, nelle trattorie e nelle case di tutti italiani. Canali giustamente evidenzia come il ciclismo avesse accompagnato la storia d’Italia dal primo 900 e favorito l’unità della nazione, permeando il costume e la cultura del nostro Paese». Poi tutto è cambiato rapidamente. Sono saliti alla ribalta altri campioni: Hinaut, Gimondi, Merchx, Adorni, Argentin, Moser, Saronni. Sono sopraggiunti altri problemi: «Si profilavano le nuove sfide della mondializzazione, della crisi economica globale, del doping scientifico, del degrado e dell’inquinamento ambientale che rendevano urgenti riforme adeguate».
Giovanni Malagò si complimenta con l’autore del volume: «Il ciclismo è uno strumento di affermazione, di riscatto, perché -anche quando la salita è impervia- al comando c’è la passione». Il presidente del Coni indica nel ciclismo «la metafora di un Paese che non viene piegato dalle difficoltà e dai problemi, né tantomeno dalla guerra. Si sa riscattare, sa soffrire in salita e pianificare il rilancio». Alla fine del libro, nel 1960, la rinascita «cancella la sofferenza». Malagò indica nel 1960 un anno cruciale: «È l’addio a Fausto Coppi, quello dei Giochi Olimpici a Roma, un unicum…È il rinascimento tricolore, e il punto di rottura con il passato».