Nel nuovo Parlamento convocato in prima seduta per il 23 marzo sono rimasti solo in due: Riccardo Nencini, senatore passato per un pelo nel collegio uninominale di Arezzo, e Fausto Guilherme Longo, eletto alla Camera nella circoscrizione Sudamerica con 9 mila preferenze, all’interno della lista del Pd. Nella diciottesima legislatura, Nencini e Longo saranno i soli, malinconici testimonial di un’antica e nobile tradizione politica: quella del Partito socialista italiano (data di nascita 1892), la prima formazione organizzata della sinistra nel nostro Paese.
Certo, la crisi del Psi non nasce con le elezioni del 4 marzo. La sua fine risale al 1992. E la condanna a morte fu decisa nelle stanze della Procura della Repubblica di Milano all’epoca di Tangentopoli. Ma questa è una storia che prima o poi bisognerà riscrivere da cima a fondo.
Il problema politico di adesso (un quarto di secolo dopo Mani Pulite) è che a fare compagnia a quel poco o nulla che resta del Psi sono arrivati quasi tutti i partiti della sinistra riformista europea. Elezione dopo elezione stiamo assistendo ovunque al crollo dei socialisti.
La sequenza dell’ultimo anno è a dir poco impressionante: in Olanda sono passati dal 25 al 6 per cento, in Francia dal 30 al 7, nella Repubblica Ceca dal 20 al 7. Per non parlare di quello che è successo in Grecia (con un tracollo di 30 punti), in Spagna (meno 12) e nelle elezioni tedesche di settembre, dove la Spd di Martin Schulz ha toccato il suo minimo storico.
Sono dati impressionanti, diventati oggetto di analisi di politologi e addetti ai lavori in tutti i Paesi dell’Occidente democratico alle prese con la crisi dei vecchi partiti tradizionali, spazzati via da formazioni populiste nate dall’oggi al domani. Ma la caduta della sinistra riformista è qualcosa di peggio, perché segna la fine dell’ultimo argine alla crescita delle disuguaglianze.
Il problema è che a ingrossare le file dei populisti sono adesso proprio i “dimenticati”, gli emarginati che si sentono traditi dai partiti politici tradizionali e – soprattutto – da quelli di sinistra, che non hanno saputo mettere un argine allo strapotere dell’economia dominata dalla finanza.
All’interno di questo che oggi appare a tutti gli osservatori come il grande problema democratico dell’Occidente, c’è anche il nodo della “cultura della sinistra”. Che non ha saputo trovare risposte adeguate ai cambiamenti epocali dell’ultimo decennio. La liberalizzazione del commercio e l’arrivo della globalizzazione. L’esplosione di Internet con le conseguenze della digitalizzazione. I cambiamenti tecnologici che hanno ridisegnato completamente il lavoro cancellando interi settori. Il mutamento delle relazioni industriali nato da queste rivoluzioni.
Da qui la necessità per la sinistra di tornare a confrontarsi con la realtà odierna, per trovare finalmente risposte politiche adeguate. Pensare di affrontare i problemi di oggi con le tradizionali ricette della vecchia sinistra è un’illusione. Come fu illusione quella dei luddisti che pensavano di fermare la rivoluzione industriale sabotando le macchine.