Nella grande incertezza che avvolge il quadro politico italiano disegnato il 4 marzo dagli elettori, una sola cosa sembra chiara: questa sarà la legislatura di Sergio Mattarella.
La partita di cui il capo dello Stato sarà arbitro assoluto è appena iniziata. Con il rituale delle consultazioni per formare un nuovo governo e una prima fase in cui Salvini e Di Maio rivendicheranno i rispettivi “diritti”. Il primo, come leader della coalizione (quella di centrodestra) che ha raccolto il maggior numero di consensi elettorali. L’altro, come candidato premier del M5S, il partito che ha preso più voti. Si andrà avanti così fino a quando sarà evidente che per uscire dall’empasse bisognerà mettersi a cercare un premier terzo, una figura esterna a Lega e Cinquestelle, con l’incarico di formare un governo di scopo (per esempio la riforma elettorale).
A questo punto Mattarella vestirà i panni dell’arbitro. Un arbitro assoluto che darà l’incarico a un personaggio istituzionale di sua fiducia. Dal nome del prescelto, si capirà fino a che punto il nuovo esecutivo diventerà “governo del presidente”. Come fu l’esecutivo Dini all’epoca di Oscar Luigi Scalfaro e come, più recentemente, è stato il governo di Mario Monti con Giorgio Napolitano sul Colle.
Certo, Mattarella non ha l’ego di “re Giorgio”, ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. Chi lo vede timido, legnoso, schivo e riservato deve sapere che il dodicesimo presidente della Repubblica non va sottovalutato. Dietro l’uomo che si mostra mite, c’è il politico di vecchio corso capace di grandi durezze e di scontri all’ultimo sangue. Come quello che alla metà degli anni Novanta ingaggiò con Rocco Buttiglione subito dopo nascita del Ppi, il partito popolare nato sulle ceneri della vecchia Democrazia cristiana.
Sergio Mattarella è un professionista della politica che ha navigato in tanti mari e con ogni tempo, uno che conosce alla perfezione i meccanismi istituzionali per essere stato: ministro, vicesegretario di partito, vicepresidente del Consiglio, autore d’una legge elettorale (il Mattarellum) che ha funzionato per tre legislature e – da ultimo – membro della Corte Costituzionale. Fino al Quirinale, dove è arrivato all’inizio del 2015. E dove fino ad oggi ha voluto interpretare il suo ruolo con uno stile caro a una vecchia tradizione democristiana che voleva la presidenza della Repubblica come silenzioso potere di mediazione fra i partiti.
Ma anche Cossiga, che quella tradizione ruppe, una volta salito sul Colle restò muto a lungo (quattro anni) per trasformarsi all’improvviso nel “picconatore”, nel finto matto che dice le cose come stanno, bastona i partiti in crisi e la classe politica incapace di dare risposte adeguate a chi l’ha mandata in Parlamento e al Paese. Le esternazioni dell’ex “sardomuto” fecero epoca e suscitarono feroci polemiche. Alla fine, però, i due maggiori partiti, la Dc e il Pci, ne subirono le conseguenze. E furono pesanti.
Mattarella non è Cossiga e non rischia di trasformarsi in un “picconatore”. Ma come l’ex “sardomuto” viene dalla sinistra democristiana ed è un politico di vecchia scuola. Quindi, costretto a scendere in campo per dirigere la partita tra Salvini e Di Maio, sarà arbitro assoluto. Infatti, prima del fischio d’inizio, in vista dell’avvio delle consultazioni, qualche quirinalista ha anticipato sui giornali l’orientamento del presidente della Repubblica: il nuovo governo dovrà rispettare le compatibilità e gli impegni assunti dall’Italia in ambito europeo. Sì. Questa sarà la legislatura di Mattarella.