Londra, New York, Parigi, San Francisco… Bellissime città: cariche di storia, e di storie. Magari viverci può essere un problema: il costo della vita, il carattere poco socievole di chi vi abita, il clima, il caos, lo sporco…Però chi non vorrebbe avere anche un bilocale in qualcuna di queste città? Ma unica, tra tutte, Roma. Unica in tutti i sensi: unica per quello che è; unica per quello che vi accade.
Può capitare, per esempio, di dover attendere un autobus per un’ora buona. Può capitare che sia assolutamente normale salire dalla porta dove si deve scendere e viceversa. Può capitare che nessuno paghi il biglietto della corsa, e nessuno dice niente. Può capitare che sia installato un disco registrato che segnala le fermate: e una voce femminile e insieme metallica ti avverte che sei in prossimità di “Largo Sòmala”, ma in realtà è Largo Somalia. Niente da fare, il disnonscambiaforsbisognerà ribattezzare la strada.
In una città dove ogni giorno transitano migliaia di turisti provenienti da ogni dove e parlanti ogni lingua, che l’autista conosca almeno i rudimenti dell’inglese dovrebbe essere il mimimo; invece è una specie di film di Totò assistere ai “dialoghi” di un conducente che si esprime in romanesco con una smarrita comitiva di anziani giapponesi o con una coppia in viaggio di nozze provenienti dall’Ohio. Le porte che si aprono a singhiozzo, i seggiolini pericolanti, lo sporco diffuso che giustifica un’antitetanica preventiva, magari non sono esclusiva degli autobus di Roma.
L’ATAC (che sta per “Agenzia del trasporto Autoferrotranviario del Comune di Roma) ha tuttavia una caratteristica che batte tutte e altre agenzie equivalenti. Nel solo 2017, ogni giorno, ha registrato qualcosa come il 12,5 per cento di dipendenti rimasto a casa. In termini assoluti, 1.426 impiegati su 11.411 hanno lasciato scoperto il loro posto di lavoro. Un tasso di assenteismo impressionante: se tra gennaio e marzo era fermo al 12,12 per cento e fino a giugno sceso all’11,63 per cento, la quota è risalita al 13,51 per cento in estate per poi assestarsi al 12,82 per cento nel periodo compreso tra ottobre e dicembre.
Non solo. C’è un paradosso che “racconta” meglio di qualunque discorso l’andazzo quotidiano negli uffici e nelle rimesse della municipalizzata dei trasporti: nonostante le giornate perse, ci sono centinaia di lavoratori che faticano a godere per intero del loro “pacchetto” ferie, cosicché si accumulano arretrati.
Per porre un freno a questa assurda situazione, i vertici dell’Azienda hanno deciso di correre ai ripari; pensa e ripensa, ecco il “pensiero”. «È vero», ammette il presidente di ATAC, Paolo Simioni, «a Roma abbiamo un tasso di assenteismo assolutamente più alto di altre aziende comparabili sul territorio nazionale; ma stiamo attivando uno specifico piano anti-assenteismo».
Bene, in che cosa consiste questo specifico piano? Un “approccio micro-economico”, si risponde con aria soddisfatta e compiaciuta. Una soddisfazione e un compiacimento da condividere. L’approccio “micro-economico” consiste nientemeno che in sedute e incontri con le famiglie professionali di lavoratori in cui si è verificato un più ampio tasso assenteismo. Secondo il presidente Simioni «il colloquio e il confronto sui loro problemi aiuta a risolverli, così come il miglioramento del parco bus e delle condizioni di lavoro, assieme ad un ritrovato orgoglio aziendale ridurranno il tasso di assenteismo, che così non va bene. Stiamo andando a parlare e sentire quali sono i problemi».
È da credere che questo approccio “micro-economico” si espleterà nell’orario di lavoro. Oppure sarà considerato straordinario, e in quanto tale, pagato? Ed essendo gli “approcciati” semplicemente dei mangia-pane-a-tradimento, “semplicemente” licenziarli no, presidente Simioni?