Khalifa Haftar è vivo e vegeto. È di nuovo in Libia. Si è affacciato dal portellone dell’aereo e ha salutato con la mano. È sceso dalla scaletta sorridente, vestito in giacca e cravatta, il passo solo un po’ incerto. È tornato a Bengasi il 26 aprile dopo una lunga assenza e un ricovero di due settimane in un ospedale di Parigi.
Prima si era diffusa la notizia della sua morte, poi quella di una imprecisata malattia (si è parlato di infarto, di ictus e di tumore) con conseguenze sulle sue capacità cognitive, quindi il ricovero in Francia. Invece il generale è vivo e vitale, è sbarcato a Bengasi con un volo proveniente dal Cairo, dopo le cure ricevute a Parigi. All’aeroporto di Benina l’hanno accolto i vertici del suo Esercito nazionale libico. L’uomo forte della Cirenaica ha salutato e abbracciato gli ufficiali che si sono affollati sotto le scalette dell’aereo, tra cui il generale Abdel Razzal al-Nadhouri, sfuggito ad un attentato a Bengasi lo scorso 18 aprile.
Il comandante dell’Esercito nazionale libico ha rassicurato i suoi sostenitori in un breve discorso all’aeroporto di Benina: «Io sto bene, sono in buona salute» e «l’esercito è stabile come le nostre montagne verdi, nessun vento può scuoterlo». Ha aggiunto di non voler parlare delle ragioni che lo hanno spinto al ricovero in Francia.
Dopo venti giorni d’incertezze, si chiude una pericolosa fase di vuoto politico. Ora si vedrà come si muoverà. Haftar è l’uomo forte della Cirenaica, espressione del governo di Tobruch, in contrapposizione con Fayez al-Sarray, il premier che da Tripoli governa la Tripolitania. Di fatto la Libia è divisa in due, da quando finì nel 2011 il regime di Muammar Gheddafi e il rais fu ucciso in una rivoluzione popolare appoggiata dai raid aerei dei governi occidentali.
Tra Haftar e al-Sarray, nonostante molteplici tentativi di mediazione internazionali (in particolare dell’Italia e della Francia), sono rimasti forti contrasti. Ogni tentativo d’intesa è fallito. In Libia continua a regnare il caos per le insidie dei terroristi dell’Isis (sconfitti a Sirte e a Derna ma ancora presenti nel paese), per gli scontri tra le forze laiche e gli integralisti islamici, per le scorrerie delle diverse milizie locali, per le azioni di bande criminali che trafficano con il petrolio e sulla pelle delle migliaia di migranti che vogliono imbarcarsi per l’Italia, la porta dell’Europa nel Mediterraneo. E tra i migranti clandestini, in alcuni casi, si nascondono dei terroristi islamici.
L’assenza del generale Haftar aveva creato nuovo caos, nuovi scontri e attentati si erano verificati in varie zone della Cirenaica e nella stessa capitale Bengasi. Adesso bisognerà vedere se Haftar vorrà proseguire o meno nella cosiddetta “Operazione Dignità”, una serie di azioni militari condotte da anni contro “i terroristi” da parte dell’Esercito nazionale libico. E se confermerà la volontà di partecipare alle elezioni che in si terranno in Libia entro il 2019.