L’imprevisto è sempre in agguato. Probabilmente andrà in porto il governo M5S-Lega, ma potrebbe anche naufragare su qualche pericoloso scoglio. Luigi Di Maio e Matteo Salvini da mercoledì 9 maggio hanno trattato senza tregua, a Roma e Milano, soprattutto sui due punti più spinosi: chi scegliere come presidente del Consiglio (tutti e due ambivano all’incarico) e come mantenere le promesse elettorali nel programma del nuovo esecutivo grillo-leghista.
Dovranno superare l’esame di Sergio Mattarella. Il negoziato a Milano di ieri, domenica 13 maggio, tra pentastellati e leghisti alla fine ha quasi prodotto un accordo. Manca ancora l’intesa sul nome del presidente del Consiglio. Il capo politico dei cinquestelle e il segretario del Carroccio ieri sera hanno chiamato il capo dello Stato e oggi dovrebbero salire al Quirinale. Il presidente della Repubblica sabato scorso, ricordando Luigi Einaudi, ha sottolineato di non essere un semplice notaio, ma un “tutore” dei dettati della Costituzione. Mattarella, parlando a Dogliani, ha ricordato le scelte del suo predecessore al Quirinale sul presidente del Consiglio dopo le elezioni politiche del 1953: Einaudi «non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Democrazia Cristiana». Quindi ha proseguito parlando delle decisioni di Einaudi sui nomi degli stessi ministri. A questi moniti è seguito quello sulle leggi di spesa: «Einaudi rinviò due leggi approvate dal Parlamento, perché comportavano aumenti di spesa senza coperture finanziarie, in violazione dell’articolo 81 della Costituzione».
Dei secchi altolà: su Palazzo Chigi, sui ministri e sul programma del governo M5S-Lega. Tra reddito di cittadinanza (caro ai cinquestelle), flat tax (bandiera della Lega) e abolizione della legge Fornero sulle pensioni (cavallo di battaglia di entrambi) il costo per i conti pubblici italiani sarebbe salato: ben oltre i 50 miliardi di euro. In più Mattarella è vigile sul rispetto delle tradizionali alleanze occidentali dell’Italia: Unione Europea e Nato (in passato Lega e M5S avevano proposto un referendum sull’euro e ipotizzato anche l’addio a Bruxelles e all’alleanza militare atlantica guidata dagli Usa).
Di Maio e Salvini stanno cercando una soluzione per favorire la nascita del governo M5S-Lega. Probabilmente il presidente del Consiglio sarà un “nome terzo”. Chi proporranno? Di Maio ha risposto: «Sempre politico mai tecnico».Il programma delle due forze populiste probabilmente sarà ammorbidito e graduato nel tempo. In ogni caso, hanno pronto un Piano B. Se fallisse il “governo del cambiamento” la soluzione di riserva è già pronta: elezioni anticipate a luglio. Ognuno dei due conta di vincere con il mito del 40% dei voti, il grimaldello per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Nei giorni scorsi, quando sembravano infruttuose le lunghe consultazioni sul governo, Di Maio ha bocciato l’ipotesi di esecutivo tecnico di “servizio” targato Mattarella e ha chiesto le elezioni anticipate: «Per noi si può andare a votare subito, anche l’8 luglio. Siamo dati al 35% dei voti, il 40% è a portata di mano, andiamo a governare da soli». Analogo discorso ha fatto Salvini: voto a luglio, «il centro-destra può vincere anche con il 40%».
La spiegazione è tecnica. Secondo molti esperti in legislazione elettorale si potrebbero vincere le elezioni anche solo con il 40% dei voti. Il Rosatellum, l’attuale legge elettorale, per oltre un terzo basata su un meccanismo maggioritario, trasformerebbe una maggioranza relativa di voti in una assoluta di seggi in Parlamento.
Torna il mito del 40%. Matteo Renzi ne fu affascinato. Nel 2014 l’allora segretario del Pd e presidente del Consiglio trionfò nelle elezioni europee con il 40,8%. Poi perse il referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale del governo con il 40% di sì. Ma disse: «Ricominciamo da lì». Quindi si mostrò fiducioso sulla vittoria del centro-sinistra con il 40% nelle elezioni politiche dello scorso 4 marzo. Ma fu una disfatta: il centro-sinistra affondò al 23%, il Pd al 18% mentre il centro-destra salì al 37% e il M5S al 32%. Si sono formate tre minoranze, nessuna in grado di governare da sola.
R.Ru.