Grandeur in affanno della Francia. Europa, Stati Uniti, Russia, Mediterraneo, Africa, Medio Oriente. Emmanuel Macron corre da un impegno all’altro sullo scacchiere internazionale con pochi risultati. Il presidente della Repubblica francese negli ultimi due mesi ha impresso un dinamismo eccezionale alla politica estera dell’Eliseo, pari solo a quella di Washington, Mosca e Pechino.
Il 29 maggio ha organizzato a Parigi, scavalcando l’Italia, la conferenza di pace sulla Libia. Le elezioni presidenziali e legislative nel paese nord africano si terranno il 10 dicembre, l’obiettivo è la riunificazione della Libia dilaniata da 7 anni di guerra civile. Macron ha invitato a Parigi Faiez al-Sarraj (il premier che governa la Tripolitania) e il generale Khalifa Haftar (l’uomo forte della Cirenaica), l’Onu, i paesi occidentali e quelli arabi. È stato un successo a metà: l’intesa è stata solo verbale, non è stato firmato alcun protocollo. Macron ha assicurato fiducioso: «Ci baseremo su questo quadro». L’accordo, però, è fragile: è visto da al-Sarraj (appoggiato dall’Italia e dall’Onu) come un sostegno al suo antagonista Haftar, con il quale il presidente francese ha stretti legami, e come un mezzo per mettere le mani su petrolio, gas e uranio. Così la conferenza di pace rischia di restare lettera morta come il precedente vertice di Parigi di un anno fa.
Il 28 maggio Macron è intervenuto sulla crisi politica italiana. Ha lodato il “coraggio” e il “grande spirito di responsabilità” di Sergio Mattarella. Ha assicurato il suo sostegno al presidente della Repubblica italiana nel compito di «garantire la stabilità istituzionale e democratica».
Il 24 maggio il giovane presidente francese è volato in Russia. A San Pietroburgo ha incontrato Vladimir Putin con il quale è in buoni rapporti. Ha indicato la strada del “multilateralismo forte”. Sul tavolo i dazi statunitensi, lo sforzo per non cancellare l’accordo con l’Iran sul nucleare, la guerra in Siria, le sanzioni economiche alla Russia per l’annessione della Crimea. E soprattutto gli accordi economici: gli affari, gli investimenti francesi in Russia e l’acquisto del gas siberiano.
A fine aprile, invece, ha effettuato un viaggio di una settimana negli Stati Uniti d’America. Strette di mano, baci e abbracci con Donald Trump. Il presidente francese ha donato una giovane quercia “per la pace” al presidente americano, piantata da entrambi nel giardino della Casa Bianca. Non sono mancati i contrasti. Ha parlato al Congresso statunitense a Camere riunite: ha confermato l’amicizia con gli Usa, ma ha criticato l’isolazionismo e il nazionalismo, riferendosi senza citarle alle scelte di Trump.
A metà aprile, è andato a Berlino per fare il punto sull’Europa con la cancelliera Angela Merkel. Il colloquio ha puntato sulla necessità di rivedere con urgenza la filosofia della Ue e dell’euro. Ha sostenuto la necessità di «riarticolare responsabilità e solidarietà» perché «nessuna unione monetaria può sopravvivere senza elementi di convergenza». In sintesi: basta con le misure punitive su deficit e debito pubblico che colpiscono soprattutto i paesi più deboli della Ue e di eurolandia. Ha sollecitato la potenza economica egemone dell’Europa a imboccare la strada per garantire l’occupazione, la crescita economica combattendo il disagio sociale fonte del successo dei partiti populisti. La Merkel, però, non ha cambiato posizione sul rigore dei conti pubblici.
Grandeur in affanno. Macron sta tentando di assicurare una nuova centralità a Parigi, ma sullo scacchiere internazionale comandano Washington, Mosca e Pechino. La grandeur fu una politica lanciata dal generale Charles de Gaulle negli anni Cinquanta, durante la “guerra fredda” tra Usa e Unione Sovietica. Ebbe un certo successo garantendo un importante ruolo globale alla Francia. Grandeur in affanno, invece per Macron. Ancora peggio è il bilancio nella politica interna. Ad un anno dall’elezione all’Eliseo, fatica e realizzare le riforme per modernizzare e rendere più competitiva la Francia. Il paese è scosso da scioperi continui soprattutto tra i lavoratori pubblici. Le manifestazioni di protesta nelle piazze sono frequenti e la popolarità del giovane presidente è in discesa. L’inventore di un nuovo centro-sinistra, preso a modello da molti partiti progressisti europei in crisi, è in affanno. Sono lontani i giorni nei quali ha battuto la populista, nazionalista ed euroscettica Marine Le Pen e azzerato gollisti e socialisti.
Grandeur in affanno. Macron è in forte difficoltà, anche per questo ha bisogno di successi sul piano internazionale. Al vertice dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) del 30 maggio a Parigi ha messo in guardia contro la guerra commerciale mondiale, innescata dai dazi decisi da Trump. Ha sollecitato il rilancio del multilateralismo perché «ci attendono tempi turbolenti».
Un ruolo centrale spetta all’Europa. Decisiva è la battaglia contro le disuguaglianze e per lo sviluppo, essenziale è la riforma dell’Unione europea e dell’euro. Si vedrà se Macron sarà capace di far passare al Consiglio europeo del 28 giugno la linea del multilateralismo, della solidarietà e della crescita al posto di quella del rigore finanziario, cara alla Germania. Senza riforme contro le disuguaglianze e la povertà, l’euro e la stessa Ue rischiano di sgretolarsi sotto i colpi dei nazionalismi e dei populismi. È la battaglia decisiva per la sopravvivenza della Ue ed è la leva per affermare la “grandeur” francese, mai decollata, in versione Macron.