Da una decina d’anni a questa parte, chi vuole vendere o comprare casa deve fare i conti con un ostacolo che può risultare insormontabile. Questo ostacolo si chiama “conformità”. In parole semplici, significa che lo stato in cui si trova l’immobile al momento della compravendita deve corrispondere esattamente a quello che risulta nel fascicolo custodito presso gli uffici comunali.
Può sembrare un’ovvietà, perché ogni immobile dovrebbe essere in regola con i permessi di costruzione. Ma non è così. Fino a pochi anni fa, per effettuare una compravendita, bastava fare due visure: catastale e ipotecaria. Con la prima si otteneva la piantina dell’appartamento con il numero dei vani, la zona censuaria e la categoria catastale. La seconda visura serviva ad accertare che l’immobile fosse libero da vincoli e ipoteche. Poi si andava dal notaio e si fissava la data del rogito. I tempi si allungavano solo nel caso in cui l’acquirente aveva necessità d’un mutuo, perché la banca doveva preparare l’istruttoria e mettere a punto il contratto di mutuo.
Ma c’era un problema: i dati del catasto spesso non corrispondevano a quelli degli uffici comunali. Perché un proprietario poteva (e può ancora) accatastare un immobile inserendo una piantina con lo stato di fatto. In altre parole, una divisione che non risultava negli uffici comunali poteva tranquillamente essere registrata al catasto.
E così, invece di obbligare proprietari e costruttori ad accatastare solo dopo un visto degli uffici edilizi dei Comuni, hanno tirato fuori il certificato di conformità. Con il risultato che adesso si continua ad accatastare quello che si vuole ma poi bisogna allegare la conformità. Un pasticcio tipicamente italiano. Perché spesso bisogna fare i conti anche con genio civile, soprintendenze e burocrazie che finiscono per costruire un labirinto senza via d’uscita.
La conseguenza è che se hai un vecchio appartamento dove, per fare un esempio, 40 anni fa hanno chiuso un balcone per ricavarne un bagno che non è stato mai condonato, non puoi venderlo. Per farlo devi rivolgerti ai signori della conformità e chiedere una sanatoria.
E qui arriva un’altra sorpresa. La stagione dei condoni non è mai finita. Esiste un condono permanente di cui nessuno parla mai. Si chiama: Sanatoria di opere realizzate in assenza o difformità del titolo edilizio. Costa cara, fino a tre volte il costo di costruzione. Ma non è detto. Perché gli specialisti del ramo (geometri, architetti, ingegneri) in cambio di una ricca parcella istruiscono le pratiche cercando di utilizzare a loro favore la miriade di leggi e leggine in vigore. Poi vanno negli uffici comunali e trattano. Se riescono a far applicare un certo comma di una vecchia legge, possono ottenere sconti anche consistenti.
Alla fine lo stesso condono può costare cinquemila o cinquantamila euro. A discrezione del responsabile che ti trovi di fronte in Comune. Nessuna certezza. Nessuna trasparenza. È un calvario che può durare anche anni. Solo per l’accesso agli atti, ossia per andare a vedere che cosa c’è nel fascicolo comunale relativo al tuo immobile, a Roma ci vogliono almeno tre mesi.
Ecco. Invece di parlare tanto, come fa adesso il nuovo governo gialloverde, di semplificazione burocratica e anticorruzione, basterebbe intervenire seriamente e immediatamente sulla conformità e sul catasto. È chiedere troppo?