Che botta per Cinquestelle! Prima il flop alle amministrative appena tre mesi dopo il trionfo delle politiche. Adesso il primo grande caso di corruzione che li coinvolge a livello nazionale. Per i paladini dell’ “onestà” potrebbe essere l’inizio della fine.
Lo scandalo del nuovo stadio della Roma, con l’arresto dell’imprenditore Parnasi e del superconsulente pentastellato Luca Lanzalone, è infatti anche peggio del fiasco e della bocciatura subita da Virginia Raggi nei due municipi della capitale, chiamati alle urne domenica 10 giugno e del risultato alle ultime comunali dove un elettore grillino su due ha disertato le urne.
Lo scandalo dello stadio di Tor di Valle somiglia in maniera impressionante a quello di Mafia capitale, che a Roma azzerò il Pd e diede un contributo decisivo alle fortune elettorali pentastellate.
Il grande problema del Movimento adesso è che l’avvocato Lanzalone non è piovuto dal cielo, ma è stato catapultato nella capitale dal vertice Cinquestelle, proprio per assicurare il via libera allo stadio. Secondo i magistrati, bisognava rimuovere gli ostacoli posti dall’assessore al’Urbanistica Paolo Berdini, che di fatto fu sostituito dal facilitatore Lanzalone e per questa ragione poco dopo se ne andò sbattendo la porta.
Quindi l’arresto di Lanzalone, per i “favori” ottenuti da Parnasi in cambio della sua mediazione con il Campidoglio, non può essere liquidato come fa Di Maio con la richiesta di dimissioni dalla presidenza dell’Acea, la maggiore tra le partecipate capitoline, che Cinquestelle gli aveva regalato.
Come ha detto la deputata regionale M5S Roberta Lombardi in un’intervista a Repubblica, a Roma Lanzalone «ce l’hanno portato i capi del Movimento». Anzi, il gruppo che si occupava degli enti locali. Quindi: Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Cioè il “capo politico” e vicepresidente del Consiglio, il ministro della Giustizia e quello dei Rapporti con il Parlamento.
Genovese come Grillo, Lanzalone, dopo essersi guadagnato la fiducia del “fondatore”, ad agosto 2016 viene spedito a Roma per affiancare la Raggi che non ce la fa. Mostra subito grande dinamismo: incontra, media, risolve. Stabilisce un ottimo rapporto con Casaleggio con cui è stato visto a cena in un ristorante romano anche poche sere fa. Guarda caso, ha sottolineato qualche mala lingua, proprio nel pieno di una partita di nomine del governo Conte.
E Di Maio? Con lui il rapporto sembrava ancora più stretto. Al punto che quando il “capo politico” del Movimento va a Cernobbio per incontrare gli imprenditori e il mondo della finanza, in occasione dell’ultimo Forum Ambrosetti, ha accanto proprio Lanzalone, ormai lanciatissimo.
Il problema è che la bomba del superconsulente che risolveva tutto (Mister Wolf) non poteva capitare nel momento peggiore per Cinquestelle. Alle prese con un governo a trazione leghista, dove Salvini fa il premier di fatto, detta la linea sui migranti e adesso anche sulle scelte economiche. Perché il leader della Lega, piaccia o no, ha un’identità (di estrema destra, ma ce l’ha), e un partito con una classe dirigente che governa le regioni più ricche del Paese da più di vent’anni. Al contrario, il M5S non ha un’identità e non ha una classe di governo all’altezza della situazione.
Il caso di Virginia Raggi è sotto gli occhi di tutti. La sindaca guida una capitale alla deriva, sembra incapace di guidare la macchina capitolina, non ha visione. In due anni non è riuscita a tirare fuori un’idea o un progetto. Si è sempre difesa accusando i vecchi partiti d’aver rubato, lasciando un mucchio di macerie e un deficit stratosferico.
Il problema, anche se i magistrati la considerano estranea allo scandalo del nuovo stadio, è che adesso la sindaca e con lei i Cinquestelle non potranno più fare campagna elettorale al grido di: “Onestà! Onestà!”…