Il “governo del cambiamento” è nato meno di un mese fa, ma già non gode di buona salute. Sul censimento rom si è incrinato il rapporto tra Lega e M5S, le due colonne dell’esecutivo presieduto da Giuseppe Conte. Il protagonismo di Matteo Salvini, in particolare, su immigrati e rom, ha innescato forti contrasti con Luigi Di Maio.
A far traboccare il vaso è stata la carta del censimento rom, una iniziativa dalla terribile impronta etnica e razzista. Il segretario leghista, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno ha sollecitato il «censimento dei Rom e controllo dei soldi pubblici spesi» con l’obiettivo di realizzare delle espulsioni di massa. Poi, di fronte alla levata di scudi delle opposizioni e dei cinquestelle, Salvini ha fatto marcia indietro parlando di «ricognizione» e comunque «non è una priorità».
Si è sfiorata la rottura. Di Maio si è lanciato in un duro braccio di ferro, il primo con il collega di governo: «I censimenti su base razziale non si possono fare, lo dice la Costituzione». Il capo politico del M5S, vice presidente del Consiglio, ministro dello Sviluppo e del Lavoro ha replicato a muso duro: «Ci sono altri censimenti da fare». E ha lanciato l’idea di un altro censimento: «Per esempio c’è il censimento di tutti i raccomandati che ci sono nella pubblica amministrazione. Dobbiamo cominciare a controllare, anche in Rai, e ristabilire il principio della meritocrazia».
Solo all’apparenza si tratta soltanto di una lotta tra due diversi censimenti populisti, due iniziative propagandistiche, pericolose e inattuabili. Solo all’apparenza Di Maio ha scagliato contro la proposta di un censimento rom, discriminatorio e razzista, l’idea di un censimento sui raccomandati, dal sapore di gogna mediatica. In realtà il capo pentastellato sembra che abbia voluto bloccare l’assalto del Carroccio al vertice della Rai (direttore generale, presidente, consiglio di amministrazione), alle tante testate giornalistiche (Tg1, Tg2, Tg3, Rainews24, Gr) e alle direzioni televisive e radiofoniche. Per ora ha vinto il braccio di ferro. Salvini è stato costretto a derubricare il “censimento” a “ricognizione” sui rom.
Salvini e Di Maio sono due alleati in forte competizione. Il ministro dell’Interno agita il problema degli immigrati e dei nomadi, il collega dello Sviluppo solleva la questione dei privilegi del posto fisso. Sia il tema della sicurezza, sia quello del lavoro tutelato per tutti sono problemi reali, molto sentiti. Sia Salvini sia Di Maio, alla vigilia dei ballottaggi del 24 giugno per i sindaci, sono a caccia di consensi e spingono sul pedale dell’acceleratore. Il primo cerca di far lievitare il 17% dei voti ottenuti nelle elezioni politiche del 4 marzo, il secondo cerca di difendere il suo 32% dall’erosione dell’alleato-competitore leghista (alcuni sondaggi danno addirittura il sorpasso del Carroccio sul M5S).
Tutti e due cercano di cavalcare “la pancia” del ceto medio in crisi ed impoverito: il segretario della Lega sui migranti e sui rom tenta di intercettare le paure e le insicurezze; il capo pentastellato alzando la bandiera dei raccomandati punta a coagulare il rancore sociale.
Così i giornali, le televisioni ed internet sono dominati dalle notizie sullo scontro su migranti, rom e raccomandati. Non si parla quasi più, invece, di reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero sulle pensioni e flat tax, i tre cavalli di battaglia sui quali Di Maio e Salvini hanno vinto le elezioni politiche. C’è molta nebbia su questi popolarissimi obiettivi dal costo salato per il bilancio pubblico italiano (almeno cento miliardi di euro).
Ma nel giugno 2019 si voterà per le europee, sia Salvini e sia Di Maio vogliono presentarsi con dei risultati ai rispettivi elettori. Il primo spinge per la flat tax, il secondo per il reddito di cittadinanza mentre la modifica della Fornero è una battaglia comune. Sarà difficile accontentare tutti senza mettere in pericolo i conti pubblici e la permanenza dell’Italia nell’euro. Sono possibili tante, imprevedibili sorprese anche per il governo Conte.